E’ risaputo che il Blues vive, anche, della e nella luce riflessa delle sue leggende; spesso semplici eventi portati all’esasperazione per rallegrare o rafforzare l’immagine di personaggi od eventi ad essi collegati. Questo è un aspetto molto comune anche in certe zone dell’Italia, solitamente depresse o dove la vita è resa maggiormente dura da avverse condizioni climatiche, che determinano particolari stili di vita e, appunto, leggende popolari.
Anche le terre di Po, in tutta quella lunga fetta di terra che accompagna il fluire delle acque del Grande Fiume verso il mare, sono ricche di storie, aneddoti e leggende popolari che si tramandano nei tempi. Molte gioiose o, comunque, burlesche, altre – invece – drammatiche, come la vicenda di Leonarda Cianciulli, meglio conosciuta come la “Saponificatrice di Correggio” con la sua straordinaria storia.
Nata a Montella nel 1892, in territorio irpino, dopo un’infanzia infelice (con due tentativi di suicidio falliti), Leonarda Cianciulli si sposa e, causa il famoso terremoto del Vulture che distrusse la sua casa di Lariano, si trasferisce in terra emiliana, a Correggio. Ma anche questa parte della sua vita è infelice, causa i difficili rapporti con la suocera e con il marito alcolizzato che la abbandona con i figli e dopo infauste premonizioni avute da due zingare.
La donna ebbe diciassette gravidanze con tre parti prematuri, dieci figli morirono in tenera età. I quattro sopravvissuti erano per Leonarda un bene da difendere a qualsiasi prezzo, e così nella sua mente si insinuò il tormentato pensiero che solo con sacrifici umani avrebbe potuto tutelare i figli.Iniziò a frequentare tre donne che volevano sfuggire alla noia della vita nel paese e che chiesero aiuto a Leonarda, la quale decise che era giunto il momento di agire.
La prima a cadere nella rete fu Faustina Setti detta “Rabitti”, la più anziana, attirata da Leonarda con la promessa di averle trovato un marito residente a Pola. Leonarda persuase la donna a non parlare con nessuno della novità. Il giorno della partenza Faustina si recò a salutare l’amica, che la convinse a scrivere alcune lettera e cartoline che avrebbe spedito appena giunta a Pola, in cui annunciava a parenti e amici che tutto andava per il meglio. Ma a Pola Faustina Setti non giungerà mai, perché cade sotto i colpi di scure di Leonarda Cianciulli, che trascina il corpo in uno stanzino e lo seziona in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino.
Poi, come scriverà nel suo memoriale, «gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io».
La seconda vittima si chiamava Francesca Soavi, cui Leonarda aveva promesso un lavoro nel collegio femminile di Piacenza. Francesca la mattina del 5 Settembre 1940 si recò a salutarla prima di partire. Leonarda convinse la donna a scrivere due cartoline, dicendole che le avrebbe dovute spedire per annunciare ai conoscenti la partenza evitando di far conoscere la sua destinazione. La Cianciulli si avventò come una furia sulla donna e ripeté lo scempio.
La terza e ultima vittima si chiamava Virginia Cacioppo, ex cantante lirica, cinquantatreenne, costretta a vivere in miseria e nella nostalgia del proprio passato di artista. Leonarda le propose un impiego a Firenze, come segretaria di un misterioso impresario teatrale, pregandola, come al solito, di non farne parola con nessuno. Virginia, entusiasta della proposta, mantenne il segreto e il 30 Settembre 1940 si recò a casa della donna dove, raccontò Leonarda, «Finì nel pentolone, come le altre due. La sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i pasticcini furono migliori del solito: quella donna era veramente dolce».
La cognata dell’ultima vittima, insospettita per la sparizione improvvisa della parente, vista entrare in casa della Cianciulli, ne denunciò la scomparsa al questore di Reggio Emilia, il quale, seguendo i numerosi indizi lasciati dall’omicida, arrivò alla “saponificatrice”. Sottoposta a interrogatorio la donna confessò senza resistenze i tre omicidi.
La Corte stabilì che Leonarda Cianciulli era l’unica responsabile di quei turpi crimini e la condannò a trent’anni di carcere e a tre anni di manicomio. Morì nell’ospedale psichiatrico giudiziario per donne di Pozzuoli, il 15 Ottobre 1970, stroncata da apoplessia celebrale. A chiunque si domandi il motivo di tutta questa sua ferocia la risposta è che lei pensava di essere stata colpita da una maledizione la quale pensava di potersene liberare offrendo in cambio dei sacrifici umani.
Sepolta nel cimitero di Pozzuoli in una tomba per poveri, al termine del periodo di sepoltura, nel 1975, nessuno ne reclamò il corpo e i resti finirono nell’ossario comune del cimitero della città.
Una suora del carcere la ricorda in questo modo: «Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi, che però nessuna detenuta mai si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica.»
Il martello, il seghetto, il coltello da cucina, le scuri, la mannaia e il treppiede, cioè gli strumenti di morte usati dalla Cianciulli per compiere i tre omicidi, sono conservati dal 1949 a Roma nel Museo Criminologico.
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