Se all’inizio delle produzioni discografiche i dischi – gli allora pesanti 78 giri – venivano più o meno protetti da leggere ed anonime buste in carta con l’arrivo in commercio dei primi LP anche le copertine iniziarono quel processo di trasformazione capace di seguire i gusti, le mode e le tendenze del periodo. Già verso la fine degli anni ’40 iniziarono a comparire le prime immagini anche se ancora piatte e senza nessuna particolare attenzione grafiche che, invece, prese grande piede ed importanza con l’arrivo del Rock’n’Roll poiché cambiava drasticamente l’utenza alla quale ci si rivolgeva. Il pubblico cambiava e diventava composto principalmente da teenagers assetati di novità e alla costante ricerca di modelli da imitare. Quale mezzo migliore se non l’immagine nella copertina dell’idolo del momento?
Da qui l’escalation che ha visto nascere una vera e propria “industria dell’arte” legata alla musica che ha avuto un’enorme esplosione sul finire degli anni ’60 con la psichedelia dove artisti del pennello hanno prodotto veri e propri capolavori ancor oggi considerati tali. Il mondo dell’arte si sposta verso la musica, basti pensare ad Andy Warhol e ai suoi geniali capolavori per i dischi dei Velvet Underground e Rolling Stones che hanno dato il via ad un filone di cover designers capaci di scatenarsi affrontando ogni tema artistico per arrivare al miglior risultato grafico fino a raggiungere il massimo dell’essenzialità che possiamo trovare nel “White Album” dei Beatles (1968) nel quale si rinuncia a qualsiasi elaborazione poiché la fama del quartetto inglese è talmente grande che non servono immagini.
Ognuno di noi è legato – per vari motivi – a copertine di album. Ce lo hanno fatto amare ancora di più e rimane un pezzo essenziale della nostra storia.
WIT Grafica & Comunicazione in collaborazione con la società di servizi A-Z Blues ha, da sempre, curato e cercato di valorizzare al meglio l’aspetto grafico per il prodotto degli artisti cercando, assieme ad essi, di cogliere l’attimo e il messaggio da trasmettere.
In questa sezione del sito voglio riscoprire alcune delle copertine che maggiormente mi hanno colpito nell’arco della mia ormai lunga storia di ascoltatore e visionario della musica. Immagini ed emozioni che fanno parte del mio background artistico e che offro alla clientela.
HARVEST – Neil Young (Reprise, 1972 – Cover Art Tom Wilkes)
Più o meno tutti hanno avuto un “incontro ravvicinato” con Harvest di Neil Young. Se non ha girato sul piatto di casa lo si è senz’altro visto in bella mostra nei negozi o a casa di amici e parenti. È uno di quegli album che sono entrati nella storia popolare e, non a caso, è il disco più venduto (e tra i più belli) del rocker canadese. Un disco rilassato ma capace di graffiare con i suoi testi che affrontano tematiche legate all’amore, alla depressione, alla droga, razzismo, vecchiaia.
La cover dell’album è curata dall’artista californiano Tom Wilkes (1929-2009), personaggio noto nell’ambiente musicale per essere stato direttore artistico del Monterey Pop Festival, dal 1967 al 1969, e dell’etichetta discografica A & M.
In Harvest Wilkes ha colto in pieno l’essenza di quanto Neil Young voleva trasmettere con le sue canzoni. Una copertina molto semplice che si basa su un lettering antico capace di comunicare allo stesso tempo l’onesta e la grinta del concetto “Americana” che questo capolavoro della musica moderna ancor oggi riesce a trasmettere tra le sue dieci tracce.
L’album raggiunse i vari record store di tutto il mondo nel febbraio del 1972, nonostante fosse pronto già a fine settembre ’71, poiché Young non era completamente soddisfatto dai tre test di stampa effettuati, optando alla fine per la realizzazione su un supporto di cartone ottenuto dalla cellulosa di fibre di avena.
Tra i tanti celebri lavori di Wilkes, che per Young curò anche le cover di “Decade” e “Long May You Run” (The Stills-Young Band), troviamo vere pietre miliari del rock quali “Flowers” e “Beggars Banquet” dei Rolling Stones, “Safe As Milk” di Captain Beefheart, “Eric Clapton”, “Mad Dogs & Englishmen” di Joe Cocker, “To Bonnie From Delaney” di Delaney & Bonnie, “All Things Must Pass” di George Harrison, “Pearl” di Janis Joplin, oltre a tantissimi altri lavori per artisti come Spirit, Dillard & Clark, Phil Ochs, Flying Burrito Brothers, Steve Young, Robbie Basho, Buddy Guy & Junior Wells, Leon Russell, John Prine, Beatles, Dr. John, Poco, Flamin’ Groovies, Bobby Bland & B.B. King, Emmylou Harris, John Mayall, Dave Mason, Aretha Franklin e King Curtis.
THE LIVE ADVENTURES OF MIKE BLOOMFIELD AND AL KOOPER (Columbia, 1969 – Cover Design Virginia Team)
Di questo doppio LP a nome di Mike Bloomfield e Al Kooper, che segue di pochi mesi “Super Session”, altra pietra miliare del genere, quello che colpisce subito è la copertina realizzata da uno dei più grandi e amati geni dell’illustrazione americana: Norman Rockwell. Il disco, che racchiude il meglio di 3 concerti tenutesi al Fillmore Auditorium di San Francisco (26-28 settembre 1968), è un’opera seminale dove il blues, protagonista assoluto e grande amore di Bloomfield che ne è uno dei principali esecutori, si impregna dei suoni che quei felicissimi (musicalmente) anni hanno saputo regalare. Dalle rivisitazioni di brani di Paul Simon (The 59th Street Bridge Song) a The Band col loro capolavoro “The Weight” fino a “Dear Mister Fantasy” dei Traffic e “Green Onions” di Booker T. & MG’s in una orgiastica ed immortale cavalcata di suoni.
Norman Rockwell (1894-1978) è un mago dell’illustrazione, capace con le sue opere definite di “realismo romantico” di entrare nelle case di tutti gli americani – soprattutto grazie alle celebri copertine del magazine The Saturday Evening Post (oltre 300 tra il 1916 e il 1963) – come un romantico cronista dal tratto popolare, fanciullesco, quasi da cartone animato e capace, al contempo, di tranquillizzare e istruire un popolo intero e descrivendo alla perfezione l’americano tipo. Certamente non lo possiamo considerare, a differenza di tanti altri, un artista legato alla musica e in questa quasi inusuale – per lui – operazione ha saputo cogliere in pieno il carattere dei 2 protagonisti, con un Al Kooper in un primo piano quasi altezzoso e Bloomfield alle sue spalle che denota la timidezza e le paure di apparire, tipiche e tallone d’achille del grande chitarrista di Chicago. In questo doppio ritratto Rockwell ha voluto sfidare il pubblico, ben conscio che alla gente non piace guardare due cose nello stesso tempo, impostando il dipinto in maniera tale che lo sguardo dello spettatore debba per forza saltare da un particolare all’altro, costruendo il tutto in una composizione racchiudibile in un cerchio dove il nero dei capelli e della maglia di Kooper sono un tutt’uno per dar maggior risalto al volto di Bloomfield che arriva in primo piano. Un album da incorniciare sia per la copertina che per il suo contenuto.
THE VELVET UNDERGROUND & NICO (Verve Records, 1967 – Cover Art Andy Warhol)
Un album entrato di diritto nella storia della musica e dell’arte grazie alla genialità di Lou Reed, John Cale e Andy Warhol che hanno concepito uno dei principali dischi della storia del rock moderno, antesignano di tutta la musica che dal punk alla new wave è arrivata al post-rock consacrando lo stesso Reed come uno dei massimi esponenti musicali del XX secolo. L’album, registrato nel 1966 tra New York ed Hollywood è stato prodotto da Andy Warhol, figura fondamentale del movimento denominato Pop Art con una ampia visione artistica che lo legava non solo alla pittura ma, anche, alla scultura, al cinema, alla fotografia e alla musica con le quali produsse alcune delle principali opere della seconda metà del Novecento. La copertina originale di questa pietra miliare della musica prevedeva, originariamente, una banana disegnata su fondo bianco con solo la firma di Warhol e senza il nome della band. La banana era “sbucciabile”, ovvero sopra ad una ben più trasgressiva e maliziosa banana rosa shocking era posto un adesivo rimovibile raffigurante l’immagine ben nota a tutti. I costi di produzione e cause legali per una fotografia nel retro portarono la Verve Records a rivedere la grafica ritirando dal mercato le copie in circolazione. Questo, ovviamente, contribuì all’epoca a un insuccesso nelle vendite (ben compensato nei 50 anni seguenti) e a rendere ambite le poche copie originali nei mercati dei collezionisti. Resta l’importanza di quella copertina, dove per la prima volta un simbolo esplicitamente erotico poteva unire le sensibilità musicali ed artistiche della band e di Warhol assieme alle loro enormi trasgressioni dei testi e delle immagini. Nel 1970 la MGM ha messo in commercio un album doppio a titolo Andy Warhol’s Velvet Underground featuring Nico, raccolta di materiale tratto dai 3 album della band e con in copertina e all’interno dipinti dello stesso Warhol raffiguranti la bottiglia della Coca-Cola.