Se l’opinione pubblica, all’unanimità, decreta “Liege & Lief” come il miglior album dei Fairport Convention mi inchino a tale sentenza, anche se “Unhalfbricking”, uscito solo pochi mesi prima sempre in quel fantastico 1969, non lo ritengo inferiore, anzi.
Terzo album per la più popolare band di British Folk assieme ai Pentangle che tra l’inverno e la primavera di quell’anno si chiuderà negli studi londinesi Sound Techniques e Olympic per regalarci 40 minuti scarsi di pura poesia. Minuti che aumenteranno, e aggiungerei meno male, con l’uscita rimasterizzata in CD di inizio nuovo millennio.
Come definire questo album dal titolo bizzarro, un gioco di parole coniato da Sandy Denny, se non un perfetto mix tra Inghilterra e Stati Uniti?
Penso di non commettere un azzardo se definisco la formazione britannica la versione europea di The Band che, in un momento dove la musica rock si propone verso nuovi azzardi sonori, sull’onda di Beatles e Stones a sperimentare nuovi orizzonti, le due band tornano al passato, ai suoni delle tradizioni, contestualizzandoli con intelligenza e, soprattutto, gusto.
I Fairport Convention, consapevoli di avere in Alexandra Elene MacLean Denny una vera fuoriclasse in formazione dopo il debutto nel precedente “What We Did On Our Holidays” (un disco più acerbo, ma non da sottovalutare), costruiscono un album quasi ricamato attorno ad una delle più belle voci che il mondo del rock abbia mai avuto, con un contorno di prim’ordine guidato dalla chitarra di Richard Thompson.
Fairport Convention – Unhalfbricking
Qualcuno lo definì un album immaturo, ma è forse proprio questa la forza di “Unhalfbricking” che ci regala una formazione verace, sincera. Una formazione ancora spensierata con una grande voglia di fare rivoluzione consegnandoci un album che nel tempo può solo maturare, come un Barolo di classe. Alcune imperfezioni, come spesso accade, regalano al disco quella sincerità e quella schiettezza che è alla base della miglior musica popolare.
Prodotto da John Wood, uno che guardava alla qualità e non al facile di guadagno (non a caso era lui alle spalle dei 3 album di Nick Drake, certamente non campioni d’incasso allora), “Unhalfbricking” può essere visto anche come un sontuoso omaggio a Bob Dylan (e qui torna The Band) dopo l’ascolto dell’ancora inedito “The Basements Tapes” con tre brani (sono quattro se prendiamo in considerazione il CD) dello storyteller di Duluth.
Tanta America ma, anche, tanta Inghilterra in questo album che si apre con le note di “Genesis Hall”, composizione scritta da Thompson, che ci porterà a comprendere quello che sarà un marchio di fabbrica per il geniale chitarrista di Notting Hill e con la Denny subito sugli scudi. “Si Tu Dois Partir” ci catapulta tra le paludi della Louisiana, con eleganza in questa prima cover di Mr. Zimmerman (“If You Gotta Go, Go Now”, registrata durante le sessions di “Bringing Il All Back Home” ma uscito solo nel 2015 nel Vol. 12 delle Bootleg Series).
E se l’inizio è promettente con i prossimi due brani si tocca il paradiso. “Autopsy” e subito dopo “A Sailor’s Life” sono due veri capolavori, di quelli immortali. La prima è una bellissima canzone che gioca sulla variazione del tempo (5/4, poi 4/4 e ancora 5/4) che arriva dal quaderno delle composizioni di Sandy Danny (possiamo trovarla in differente versione anche nel box dedicato alla cantante londinese “A Boxful Of Treasures”), un brano minimale, quasi in punta di dita, ma di grande impatto con Sandy e Richard a dialogare tra di loro in maniera superba. Il secondo è un vecchissimo traditional che la band rivede e dilata portandola a oltre 11 minuti di puro godimento folk-lisergico. Dopo i rilassati tre minuti iniziali la band inizierà a macinare le note e Thompson ci regalerà uno degli assolo di chitarra che lo renderanno tra i più apprezzati chitarristi della storia, quasi un lancio a quello che sarà la magnifica “Sloth” di qualche anno dopo (andatevi d ascoltare la versione live apparsa su “House Full”).
Solo questo brano basta per posizionare i Fairport Convention nell’Olimpo delle formazioni storiche per la musica mondiale. Da notare il pregevole lavoro al violino di Dave Swarbrick che entrerà in pianta stabile nella formazione con “Liege & Lief”. E così la prima facciata del trentatré giri se ne va nel migliore dei modi.
La Side B si apre con “Cajun Woman”, ancora dalla penna di Thompson che reputo la più debole di tutto l’album, forse per come è stata registrata. La definirei una canzone confusionaria, ma che andrebbe rivista. Di ben altra pasta “Who Knows Where The Time Goes?”, altro brano composto da Sandy Denny che si dimostra non solo una grande interprete ma, anche, capace di scrivere brani epocali. Questo è uno di quelli che vorresti non finisse mai. Non so se sia nata prima questa canzone o “Melissa” degli Allman Brothers, quello che è certo che entrambe – pur muovendosi su una progressione di accordi parecchio simile – resteranno negli annali della storia del rock mondiale per bellezza ed intensità.
Ritorna Dylan a chiudere l’album con una perfetta accoppiata di brani, inaugurata da “Percy’s Songs”, altro brano di quelli che il vecchio Bob teneva nel cassetto e che qui assume la forma di ballata inglese, in una progressione d’intensità capace di regalare gioia all’ascoltatore e, magari, anche la voglia di bersi una squisita birra rossa.
Arriva, invece, dai Basements Tapes “Million Dollar Bash” qui in una spettacolare esecuzione che ci porta in quell’America che fa tanto Ozark Mountain Daredevils o Mason Proffit. Un brano veramente riuscito e che chiude come meglio non poteva questo disco.
Come dicevo nella versione in CD ci sono due brani aggiunti, una volta tanto con senso.
Da John Wesley Harding (ancora Dylan) una toccante versione di “Dear Landlord” resa quasi drammatica dalla brava vocalist e con la band perfetta in ogni parte. Per la cronaca oltre ai sopracitati Thompson e Denny troviamo la miglior line-up comprendente il bassista Ashley Hutchings, Simon Nicol alle altre chitarre e alla batteria il compianto Martin Lamble (morirà poco dopo la registrazione assieme alla compagna di Thompson in un incidente automobilistico) a cui si aggiungeranno il già citato Dave Swarbrick al violino e mandolino, Trevos Lucas (futuro marito della Denny), Marc Ellington e Dave Mattacks che suonerà la batteria in “Ballad Of Easy Rider”, brano composto da Roger McGuinn (con lo zampino di Dylan) per la colonna sonora dell’omonimo film, ultimo brano che chiude degnamente anche il CD, e per me nettamente superiore all’originale versione dei Byrds.
“Unhalfbricking” è un disco che merita molta più considerazione ed accurati ascolti, perché sa regalare emozioni che oggigiorno ci sogniamo.
Magari all’ora del tè.
[Antonio Boschi]
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