Tra le mie preferite formazioni di bluegrass devo sicuramente annoverare The Nashville Bluegrass Band capace, come poche altre, di valorizzare lo strumento “voce” elevandolo a protagonista assoluto. Grande merito di questo quartetto/quintetto prodotto da Bela Fleck è quello di aver unito la tradizione bianca con quella afroamericana, soprattutto sacra, in una perfetta amalgama che è alla base della miglior American Music.
Sulla scia di celebri ed illustri predecessori quali Bill Monroe e, soprattutto, gli Stanley Brothers la Nashville Bluegrass Band confeziona questo “To Be His Child”, loro terza opera uscita nel 1987 per la Rounder Records (0242), che definirei quello che certifica l’assoluta maturazione.
L’album ci accoglie con una bella foto che arriva dall’archivio del Tennessee State e raffigura il sobrio interno di una chiesa dai banchi bianchi di quel Deep South dove la tradizione orale durante le celebrazioni religiose è anche pura arte. Il Vangelo protagonista in questi dodici brani, quasi tutti provenienti dalla tradizione di stati come Mississippi, Alabama o Tennessee, con le meravigliose voci dei cinque interpreti dal forte sentimento blues e dalle ricche armonie.
La band, formatasi nel 1984 con lo scopo di supportare un tour di Vernon Oxford – celebre artista del Grand Ole Opry di Nashville – vedeva il mandolinista Mike Compton, il chitarrista Pat Enright e il banjoista Alan O’Bryant ai quali ben presto si unì il violinista Stuart Duncan, tutti personaggi ben noti nell’ambiente.
The Nashville Bluegrass Band – To Be His Child
Nel 1985 uscì l’album di debutto “My Native Home”, ancora senza Duncan con al suo posto Blaine Sprouse e il bassista Mark Hembree. Il disco è già una prova matura, ancora meglio il seguente “Idle Time” dove entra Duncan, ma è questo “To Be His Child” che conferma la grandezza del quintetto. Appena la puntina del nostro giradischi incontra i solchi del nero vinile le cupe note di “Goodnight, The Lord’s Coming” ci catapultano all’interno di quella chiesetta della copertina.
Il brano arriva da un vecchio disco Vocalion dove un oscuro gruppo chiamato Pilgrim Jubilee Singers lo aveva inciso nel 1927 a New York. L’interpretazione solo vocale di questo brano è da pelle d’oca e in un batter d’occhio ci troviamo a godere delle note di “Every Humple Knee Must Bow” altro traditional con la lead vocal di Compton ben sostenuta da Enright (tenore) e O’Bryant (baritono) mentre gli strumenti ricamano alla perfezione.
“No Hiding Place” arriva dal repertorio di Gladys Stacey & Louise Cirtain, mentre la seguente “You’re Drifting Away” è una composizione di Bill Monroe resa magnificamente, rendendo omaggio al padre del bluesgrass che la registrò per la prima volta nel 1951 con Carter Stanley alla voce tenore.
“Hold Fast To The Right” è un gospel che ha origini nella Chicago di fine Secolo (XIX) ed è divenuta popolare negli anni ’30 grazie al duo Mac & Bob, resa uno standard dalla Carter Family nel ’37 e trasformata in bluegrass dagli Stanley Brothers.
Chiude la prima facciata l’unico brano composto da uno dei membri della band anche se il gospel “A Child Enters Life” di O’Bryent e Bruce Nemerow, ed ispirato da un epitaffio letto su di una lapide, sembra giungerci da tempo remoto a degna conclusione di una bellissima prima facciata.
Il Lato B si apre con la title track, ancora meravigliosamente a cappella con Enright, Compton e Hembree a seguire O’Bryant con la sua lead vocal, in quello che era uno dei brani dei Duck Creek Quartet, tra i migliori gruppi di gospel bianco del Tennessee.
La versione del traditional pre-Civil War “Gospel Plow” arriva da un nastro informale di Bill Monroe che la suonava al Bean Blossom e appare anche nell’omonimo album di debutto di Bob Dylan.
Puro bluegrass per “Are You Afraid To Die?”, brano composto da Ira & Charlie Louvin con Eddie Hill che precede un antico brano che arriva da Hattiesburg nel Mississippi: “I’ll Be Rested” inciso originalmente dai fratelli Roosevelt & Uaroy Graves e i Nashville Bluegrass Band la propongono con un forte rispetto sia stilistico che nell’originario sentimento.
È la volta di “Old Satan” che è un brano recente, composto da Jim Eanes, un veterano della country music che ha voluto omaggiarlo alla band.
Chiude, come meglio non poteva, “New Born Soul” nel perfetto stile dei quartetti neri che si esibivano nell’area di Memphis negli anni Trenta e Quaranta a conferma della grandezza di questa band che con questo album ci ha fatti viaggiare con classe ed intelligenza nel tempo, attraverso due realtà, quella bianca e quella di colore, che avevano parecchie affinità, purtroppo troppo spesso solo musicali.
[Antonio Boschi]
No responses yet