Un bel giorno, al riparo dal sole sotto il fresco di una grossa quercia al Kissimmee Bluegrass Festival, nell’omonima cittadina in Osceola County (Florida), Forrest Richard Betts (1943-2018)– meglio conosciuto come Dickey, il celebre chitarrista dell’Allman Brothers Band – stava jammando con un violinista che si sarebbe esibito in seguito assieme alla sua band bluegrass. Ad un certo punto qualcuno disse a Dickey che quel violinista era il celebre Vassar Clements (1928-2005), indubbiamente uno tra i più noti fiddler che la musica popolare americana abbia mai avuto.
In quel periodo Betts stava pensando, spinto da Frank Fenter (vice presidente della Capricorn Records), di recarsi a Parigi per registrare un album solista assieme al violinista jazz Stephane Grappelli, importantissimo collaboratore di Django Reinhardt (uno degli eroi di Betts). Erano giorni dove giravano veramente un sacco di soldi attorno alla musica e ai suoi principali protagonisti, quindi ogni progetto che veniva in mente era fattibile. Anche un disco jazz di Betts. Ma quella fortuita jam sotto la quercia fece venire voglia al chitarrista di West Palm Beach di trasformare il progetto da un album jazz a uno di country music, sulla scia tracciata da Gram Parsons di cambiare drasticamente il sound commerciale fatto di lustrini e sciropposi arrangiamenti che il business di Nashville aveva imposto (ricordate il film di Robert Altman in proposito?).
Betts iniziò ad interpellare diversi artisti oltre al violinista di Kinard (Florida), quindi nell’estate del 1974 presso i Capricorn Sound Studios di Macon si riunirono il pianista Chuck Leavell, reduce assieme a Betts del grande successo di “Brothers And Sisters” della band dei fratelli Allman, John Hughley, celebre suonatore di pedal steel guitar nella band di Conway Twitty, i fratelli Walter, Leon e Frank Poindexter (band bluegrass) più altri artisti tra cui Jeff Hanna della Nitty Gritty Dirt Band e Johnny Sandlin, bassista e co-produttore assieme allo stesso Betts dell’album.
Betts veniva dal grande successo commerciale e di pubblico del primo disco senza Duane Allman (la vera anima della band) dove, anzi, fu proprio Dickey a prendere sulle proprie spalle il grosso del peso di una eredità che di li a poco si farà sentire eccome. “Highway Call” – titolo di questo primo album da solista di Betts – uscirà nel settembre dello stesso anno, ovviamente per la Capricorn (CP 0123) e alla fine dei conti resterà il migliore dell’intera discografia e, anche senza far gridare al miracolo, si dimostra ancora oggi un valido prodotto di southern music.
Richard Betts – Highway Call
L’album si apre con “Long Time Gone” che è il perfetto ponte di unione con il celebre album dell’ABB, una sorta di “Ramblin’ Man” con tanto di pedal steel a duellare con la cristallina Gibson del leader e la National Resophonic del 1932 appartenuta a Duane. Un brano in perfetto stile Allman post Duane, di quelli che sa catturare subito l’attenzione con la sua saltellante melodia, tipicamente sudista.
Stessa cosa per “Rain” che ha i fraseggi tipici (in alcuni casi fin troppo) delle celebri canzoni di “Brothers And Sisters”. La voce, calda e pastosa, ricca di emozioni regala ulteriore atmosfera alle songs. Chuck Leavell emerge nella stupenda title track al quale Betts lascia il meritato spazio. Un brano agrodolce dove tutta la poesia del Sud emerge ad accarezzarti dolcemente grazie anche al bellissimo coro e alle delicate chitarre in sottofondo. La migliore dell’album? Probabilmente si.
Sempre e solo Sud anche in “Let Nature Sing” dove entrano in gioco in maniera molto convincente il violino di Clements, il banjo di Walter Poindexter oltre alla steel di Hughley e – ovviamente – Betts. Un meraviglioso assieme di suoni bucolici che piano piano sfuma verso la fine del lato A di questo disco.
La seconda facciata è totalmente differente. Prima di tutto è interamente strumentale e sono solo 2 i brani presentati. Si inizia con la lunghissima (14:22) “Hand Picked”, una lunga jam Western Swing col violino di Vassar Clements vero protagonista. Non a caso considerato il padre dell’Hillbilly Jazz, il fantastico violinista riesce a dare a questa canzone una grande personalità che inizia con un bel susseguirsi di frasi gemelle suonate tra Vassar e Dickey inframmentate da un bel solo del pianoforte di Leavell per, poi, trasformarsi in una vera e propria jam Allman Style che arriva a giocare con fraseggi che riportano la nostra mente inevitabilmente a “Jessica”, uno dei brani più noti di Betts, con un po’ tutti protagonisti.
“Kissimmee Kid” – composizione di Clements – coi suoi 3:13 minuti chiude questo album che ha solo il difetto di essere venuto dopo “Brothers And Sisters”, altrimenti poteva essere considerato un mezzo capolavoro. Ma come dice il detto del marketing: “Two is meglio che One”.
[Antonio Boschi]
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