Lyle Lovett è uno di quegli artisti che sfugge le passerelle, gioca nell’ombra, evita che la sua vita sia di dominio pubblico e l’unica volta che lo ha dovuto fare non era per merito suo. Lyle è uno di quelli che meno si vedono e più è contento.
Eppure il quasi sessantenne songwriter texano (è nato il 1 novembre del ’57 a Houston) ha anche all’attivo 12 film che lo vedono protagonista ma, anche qui, in modo del tutto particolare. Il suo personaggio rimane schivo, nell’ombra e difficilmente lo sentiamo parlare rimanendo, comunque, assolutamente espressivo e personale.
Una carriera discografica iniziata nel 1986 con l’omonimo album e continuata con grande parsimonia dove, a tutt’oggi, possiamo contare 11 album in studio più un live e 2 raccolte. Nel 1994, due anni dopo il bellissimo “Joshua Judges Ruth” dai toni notturni e talvolta gospel, eccolo affrontare, per l’etichetta nashvilliana Curb Records (MCAD-10808), un repertorio di brani con influenze più bianche, più country anche se questo termine è assolutamente fuori luogo quando si parla di Lovett.
Questo è uno di quegli artisti che non si possono chiudere in una scatola, una sorta di Tom Waits al rovescio, capace di graffiare con tocchi di puro genio. Con quel suo ciuffo ribelle, quella faccia un po’ così, Lovett si distingue per eclettismo, strabordante di personalità che sa centellinare con furbesca parsimonia. “I Love Everybody” è un bellissimo disco che va a ripescare nel pozzo delle meraviglie dell’autore con brani che sono rimasti chiusi nel cassetto per tanti anni (dal 1977 in poi), proprio come fanno i più grandi.
Brani che all’apparenza sembrano in bianco e nero, come la copertina, ma che sanno regalare tanti colori di ascolto in ascolto. E non è facile da assimilare, non è come il Lambrusco che lo mandi giù e rutti e via, è come un buon vino che devi tenere in bocca, assaporarlo e – solo allora – escono tutte le sfumature che lo rendono un capolavoro.
Perché i capolavori sono quelli che ti regalano qualcosa ogni volta che ti avvicini a loro, ma lo devi fare con rispetto altrimenti si chiudono in sé stessi, senza regalarti nulla. Ecco, ci vuole rispetto per ascoltare questo “I Love Everybody” e lui uscirà con le sue “Skinny Legs” per permetterci d’imparare a vedere e conoscere il ragazzo fortunato che grazie alle sue magre gambe ha trovato il successo.
Inizia così, con una sorta di ironia di questo bellissimo brano acustico, un album dai suoni pacati con arrangiamenti in punta di dita e con ospiti di grande rilievo. Il tenue folk di “Fat Babies” e subito “I Think You Know What I Mean”, meravigliosa con il violino di Mark O’Connor, mentre Russ Kunkel alla batteria e John Leftwich al basso aiutano non poco a far diventare un piccolo capolavoro questo lento country blues.
Ancora più ridotta la lineup di “Hello Grandma” dove la Martin D28 di Lyle costruisce una melodia quasi jazzata su una tenue base di basso e batteria. Una leggera sezione di archi (John Hagen) crea una sottile atmosfera (come già in “Fat Babies”) sulla folk song “Creeps Like Me” che continua sulla seguente “Sonja” dove torna il violino di O’Connor a regalare brividi.
In “They Don’t Like Me” troviamo Kenny Aronoff alla batteria col double bass di Leftwich in grande evidenza. Un coro gospel – tra cui spicca la presenza di Willie Greene Jr. – regala atmosfera ad una bellissima “Record Lady”. Un’atmosfera molto notturna e con ancora lo stesso coro per “Ain’t It Something” che ci richiama certi brani a noi tutti particolarmente cari di Ry Cooder.
Torna Aronoff a pestare sui tamburi di “Penguins” che vede anche una sezione fiati regalare al disco atmosfere tra il soul e il funk. Si torna immediatamente alla delicatezza, quasi triste, con “The Fat Girl” col bassista Edgar Mayer a regalare profondità con l’archetto. “La To The Left” è una delle mie preferite con la sua melodia che sa conquistarti immediatamente grazie, anche, al gran lavoro del violino di Mark O’Connor, certamente non un pivellino.
“Old Friend” è perfetta per una giornata come l’odierna dove il clima uggioso e la morte di Tom Petty (2 ottobre 2017) te la fanno sentire ancora più tua. Altro capolavoro in arrivo con la ballatona “Just The Morning” e capisci perché ami tanto questo genere musicale, non ne puoi fare a meno.
Dopo una lentissima ballad in perfetto stile Lovett “Moon On My Shoulder” ecco il nostro eroe proporci “I’ve Got The Blues” che sa di terre desolate là in quell’America sperduta e senza confini. L’autore ci saluta con due ultimi brani “Good-bye To Carolina” dall’andamento jazzato con il violino quasi tzigano di O’Connor e la conclusiva, nonché title track, “I Love Everybody” vera e propria lettera d’amore all’allora moglie Julia Roberts e che vede ai cori una serie di grandi amici (moglie compresa) tra i quali Leo Kottke, Rickie Lee Jones, Harry Stinton, Eric Taylor.
Un disco che ti lascia una bella sensazione dentro, come dopo una bella e rilassata chiacchierata con un simpatico amico per nulla invadente.
[Antonio Boschi]
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