Marshall Tucker Band – Where We All Belong

Nonostante tantissimi appassionati considerino “Searchin’ For A Rainbow” il più bel disco della Marshall Tucker Band io preferisco – e di gran lunga – “Where We All Belong”, il doppio album uscito per la Capricorn Records nel novembre del 1974 (2659 042 il numero di serie). La band capitanata dai fratelli Toy Caldwell (1947-1993, chitarra e voce) e Tommy Caldwell (1949-1980, basso e cori) arriva da Spartanburg, nel South Carolina e già dai primissimi anni ’70 è capace di imporsi come una tra le principali band di Southern Rock, già dall’omonimo album di debutto del 1973 che conteneva l’hit sudista “Can’t You See Me” e prodotto dall’immancabile – alla corte Capricorn – Paul Hornsby.

L’anno seguente vede la band produrre ben 2 album, l’interessante “A New Life” e questo, bellissimo, doppio vinile suddiviso in una parte in studio ed una live. A differenza di certi suoni ruvidi che stavano caratterizzando le band “under the Mason-Dixon line” la MTB si caratterizzava per un rock più “mellow” ma che sapeva, al momento, essere assolutamente graffiante. I fratelli Caldwell avevano regalato alla band una perfetta miscela di country, blues, jazz e western swing particolarmente convincente, suffragata da una grandissima abilità come strumentisti, dote indispensabile per poter affrontare tale repertorio.

La prima facciata, ricca di coinvolgenti ballate country, si apre con “This Ol’ Cowboy” dove il violino di Andy Stein la fa da padrone, seguita dalla meravigliosa “Low Down Ways” con un incrocio tra chitarra e pedal steel che ci catapulta in un immaginario mondo fatto di cowboy, particolarmente cari alla band e che diventeranno grandi protagonisti delle loro copertine e del merchandising.

Chiude la lunga “In My Own Way” e qui le cose si fanno serie. Una canzone strascicata che cresce di spessore di giro in giro, con la bellissima armonica, mai invadente, di Bill Sanders a giocare come si faceva davanti ad un falò tra una cavalcata e l’altra, mentre il flauto di Eubanks ci porta alle sonorità del border che hanno reso celebre la colonna sonora di Pat Garrett & Billy The Kid.

Il lato B si apre col funky “How Can I Slow Down” e, subito dopo, i bellissimi 4,32 minuti di “Where A Country Boy Belong”, un brano dove si respira il vento del Sud grazie anche alle bellissime slide nelle mani di Elvin Bishop e Johnny Vernazza unite al piano di Hornsby. La canzone risente, inevitabilmente, del suono Allman di “Brothers & Sisters” ma vive di una sua grande personalità, grazie anche alla bella interpretazione vocale di Doug Gray e chitarristica del Caldwell Jr. “Now She’s Gone” parte con un riff molto stonesiano e si intuisce da subito che potrà diventare un brano che dal vivo saprà far divertire musicisti e pubblico.

Chiude la parte in studio “Try One More Time”, uno slow blues che sa tanto di Dr. John e che racchiude in sé tutta la bellezza del suono della MTB, col sax di Jerry Eubanks che crea l’atmosfera assieme alla batteria soffusa di Paul Riddle.

Se la parte in studio è buona – molto buona – la seconda, quella live, è ancora meglio. Infatti, appena sul piatto si posiziona il lato C veniamo subito inondati dal boogie blues di “Ramblin’” fatto di grandi cavalcate chitarristiche a testimoniarci che questa è veramente una gran bella live band. Toy Caldwell ci annuncia l’arrivo del grande Charlie Daniels col suo violino da Nashville, Tennessee e “24 Hours At A Time” inizia a scaldare i motori e per i restanti 14 minuti ci delizierà di grande musica con una jam centrale di gran classe e intensità.

L’ultimo lato si apre con la Gibson Les Paul di Caldwell, suonata senza plettro e che ricorda tantissimo il Dickey Betts dei momenti migliori, introdurci nel blues di Memphis Slim “Every Day I Have The Blues”, anche nel repertorio del compianto B. B. King , che qui si trasforma nella tipica southern song con le chitarre di Caldwell e di George McCorkle (1947-2007) protagoniste assolute.

È anche da questi episodi che possiamo capire quanto sia stato fondamentale per l’economia della musica quel genio di Duane Allman che, personalmente, (assieme solo a Jerry Garcia) reputo essere stato il più grande di tutti.

Con la conclusiva “Take The Highway” la band saluta e se ne va, ci saranno ancora ottimi momenti (“Searchin’ For A Rainbow” dell’anno seguente, “Long Hard Ride” del ’76 e “Carolina Dreams” del ’77) per questa interessantissima band. Ma se non avete nessun disco della Marshall-Tucker Band questo “Where We All Belong” è il disco che fa per voi.

[Antonio Boschi]

Marshall Tucker Band – Where We All Belong  cover album

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