The Boys Of The Lough (1973) recensione e foto di Antonio Boschi

Poteva non partire tutto da un tipico pub di Edimburgo? Ebbene è così che ebbe inizio l’avventura dei Boys Of The Lough, storica formazione di musica popolare scoto-irlandese che iniziò la propria carriera presso il Forrest Hill Bar della capitale scozzese. Al Sandy Bell’s (così veniva soprannominato il locale) erano abituali frequentatori, tra i tanti musicisti, il violinista delle isole Shetland Aly Bain e il chitarrista e cantante Dick Gaughan che tra una pinta di birra e l’altra (e un’altra e un’altra ancora) solevano dilettare il pubblico con reels e gighe varie.

Al Falkirk Folk Festival i due – divenuti amici – incontrano il flautista irlandese Cathal McConnell, celebre figura a Fermanagh County, nell’Irlanda del Nord che si esibiva con Tommy Gunn e Robin Morton. Proprio quest’ultimo – cantante e suonatore di bodhran – decise di seguire il flautista ed unirsi ai due amici scozzesi formando, così, la prima formazione ufficiale dei Boys Of The Lough che a differenza della maggior parte delle band di musica tradizionale britannica rappresentava una sorta di entità multietnica.

Il quartetto arrivò ad incidere il primo omonimo album, che uscirà per l’etichetta Trailer (successivamente ristampato dalla Shanachie), registrando le 12 tracce presso i Cecil Sharp House di Londra nel luglio del 1972 sotto la produzione di Bill Leader, nome che in quegli anni veniva associato ad importanti figure del british folk come Davey Graham, Bert Jansch e John Renbourn.

Questo è l’unico album che vede la presenza di Gaughan che opterà per una successiva carriera solista di tutto rispetto, con alcuni album di grande spessore, come “Handful Of Earth” del 1981, luminoso esempio per tutto il folk scozzese. Ma i Boys Of The Lough sono una band di elevate qualità tecniche e l’idea di unire sonorità irlandesi, scozzesi e delle isole Shetland risultò essere particolarmente astuta ed intrigante.

Questo loro album di debutto si apre con il reels “The Boys Of The Lough: Slanty Gart” che è – come si può intuire – quello che ha dato il nome al gruppo. Il brano – uno strumentale – era nei repertori sia di McConnell che di Bain ed è interessante come i loro differenti modi di interpretarla si fondino così bene. Questo è una di quelle canzoni – con origine probabilmente alle Shetland – che ha varcato l’oceano diventando uno dei favoriti dai fiddler statunitensi e canadesi, conosciuto anche col nome irlandese “Lord McDonald’s Reel”.

McConnell e Morton interpretano vocalmente “In Praise Of John Magee” che ci racconta della pratica abbastanza comune nei ceti più poveri della vendita delle mogli ai propri amanti.

Il violino di Bain ci introduce nel trittico “Wedding March From Unst; The Bride’s A Bonny Thing; Sleep Soond I’ Da Moarnin’”, tipiche marce nunziali delle isole Shetland che avevano delle forti attinenze con ballate delle vicine Norvegia e penisola scandinava. Queste marce servivano al violinista per accompagnare gli invitati dalla chiesa alla casa sposa per la festa e per dare il benvenuto alla sposa stessa nella stanza principale. È ancora usanza nell’isola utilizzare questi reels nei matrimoni.

Tocca a Gaughan regalarci una toccante versione di “Farewell To Whisky”, imparata da Christine Hendry, brano storico come risulta dagli scritti del 1901 di Robert Ford.

Bodhran e flauto ci introducono in “Old Joe’s Jig; Lst Night’s Joy; The Grammy In The Corner” che Cathal ha conosciuto grazie a Matt Molloy e Liam o’Flynn e rappresenta la tipica giga del Donegal che ci accompagna nella bellissima e struggente “The Old Oak Tree” cantata da Morton. Una ballata popolare su un omicidio che riunisce due ballate di due differenti zone dell’Irlanda (Belfast e Galway) e che ha varcato l’oceano arrivando anche negli USA, come riscontrabile dalla versione che incise Sara Cleveland, folksinger newyorkese.

Questo brano chiude la prima facciata lasciando un alone di malinconia che non viene certamente stemperata dal lamento di “Caoineadh Eoghain Rua; The Nine Points Of Roguery” che apre il lato B di questo album. Il brano, un trittico che si ripete, potrebbe essere dedicato a Owen Roe O’Neill, nipote del grande O’Neill e comandante dell’esercito irlandese nella metà del XVII Secolo oppure al poeta gaelico Owen Roe O’Sullivan del secolo seguente.

Ancora uno strumentale, come la precedente, per “Docherty’s Reel, Flowing Tide” che ci accompagna alla meravigliosa voce di Dick Gaughan che interpreta “Andrew Lammie”, una ballata molto comune e facilmente trovabile con differenti titoli.

È la volta di “Sheebeg And Sheemore; The Boy In The Gap; McMahon’s Reel” brano che pare provenga dal repertorio dell’arpista cieco irlandese Carolan e che possiamo trovare in una bellissima interpretazione sul disco di David Bromberg “My Own House”.

Tocca ancora a Robin Morton interpretare la bella “Jackson And Jane”, la storia del cavallo da corsa Jane che Jackson avrebbe comprato da un peschereccio di Dundalk.

Chiude l’album un altro trittico “The Shaalds Of Foulla; Garster’s Dream; The Brig” a volte erroneamente chiamato “Foulla Reel”. Si tratta di un jig time che narra dei bassi fondali all’estremità Nord dell’isola Foulla nelle Shetland e che causò l’affondamento della nave Oceanic. Questa melodia si porta via un disco particolarmente interessante per una band dalla carriera più che longeva anche se, a tutt’oggi, l’unico dei membri fondatori rimasto è Cathal McConnell.

[Antonio Boschi]


The Boys Of The Lough cover album


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