Yazoo Records la storia dell'etichetta

Pronunciare oggi il nome Yazoo Records difficilmente si può arrivare a colpire la curiosità dei nostri interlocutori, almeno che gli stessi non abbiano vissuto in quel fantastico decennio che andava dalla metà degli anni Sessanta alla metà dei Settanta dove per diventare un’etichetta discografica degna di nota non serviva avere un grande ed elegante edificio, poteva bastare anche un garage, ma era fondamentale avere le idee e, soprattutto, amare e conoscere la musica.

In merito a quella tradizionale statunitense, bianca o nera che fosse, questo era un aspetto fondamentale ed, infatti, etichette oggi considerate di importanza vitale da tutti gli appassionati di “popular music” potevano vantare al proprio interno dei veri cultori di musica. Se andiamo ad analizzare le storie di Alligator, Bluesway, Flying Fish, Philo, Shanachie e simili possiamo notare che alla base di tutto il loro grande lavoro c’è una smisurata passione, purtroppo spesso non tramutata anche in affari, tanto da costringerle al ritiro dal campo.

Quando si parla di blues una delle etichette definite fondamentali per il grande lavoro svolto è senza ombra di dubbio la Yazoo Records, e già dal nome possiamo intendere quale fosse la tipologia di musica trattata: il Delta Blues e tutte le sue contaminazioni.

La nascita della Yazoo Records

Yazoo Records cover album

Mister Charlie’s Blues (1926-1938)” L-1024 edito nel 1970 non è certamente il titolo più importante dell’intera discografia della Yazoo Records ma è interessante vedere che nell’immagine di copertina appare – celato dieto ad una “blackface” – il volto di Nick Perls, nome forse non noto ai più, ma che a tutti gli effetti lo si può considerare tra i più importanti da parte degli appassionati di blues.

Nato a New York nell’aprile del 1942 J. Nicholas “Nick” Perls era un eccentrico ed oltraggioso (così amava definirsi) esponente di una agiata famiglia tedesca di origine ebraica, composta da celebri mercanti d’arte – costretti a trasferirsi negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali – ove fondarono la Pears Galleries sulla 58esima strada, nei pressi di Madison Avenue.

Nick ben presto divenne un importante collezionista di materiale fonografico, con una grande passione per i vecchi 78 giri di country blues che cercava quasi ossessivamente nei vari negozi di antiquariato. Collezione che ampliò nei suoi due intensi e assai produttivi viaggi nel Deep South dei primi anni Sessanta.

Divenuto, nel frattempo, un esperto ingegnere del suono Perls ebbe la capacità e l’abilità di ridare nuova vita a parecchie di queste vecchie registrazioni, sfruttando anche gli originali in gommalacca che riusciva ad accaparrarsi nel suo costante lavoro di ricerca. Una passione la sua che gli permise di recuperare vecchie registrazioni degli anni Venti e Trenta completamente dimenticate.

Passione che, fortunatamente, non seguì quella di tanti collezionisti che tendevano a nascondere i propri tesori ma che – al contrario – Perls volle divulgare il più possibile. Sfruttando l’agiatezza economica, che gli permise di fare degli azzardi, fondò nel 1967 un’etichetta che chiamò Belzona Records, per la quale mise sul mercato 6 titoli ed iniziò una stretta e duratura collaborazione con Steve Calt, anch’esso grandissimo appassionato, nonché ricercatore e scrittore a cui dobbiamo le biografie di Skip James e Charlie Patton.



L’anno seguente, però, arrivò nella sede della piccola etichetta, al 390 East dell’Ottava Strada, un’ingiunzione da parte della Beltona Records, etichetta britannica fondata nel 1923 (oggi sussidiaria della Decca) e che si dedicava alla musica popolare scozzese, la quale pretese che – a causa della quasi omonimia che avrebbe potuto confondere i distributori di dischi – Perls variasse il nome del proprio progetto.

Senza farsi grossi problemi Nick Perls muta il nome in Yazoo Records, mantenendo nel logo il classico pavone in stile Art Déco recuperato dalla defunta Black Patti Records, label chicagoana di jazz, blues e spirituals che nell’unico anno di vita (1927) pose sul mercato ben 55 titoli.

Perls si avvalse inizialmente del contributo di Bernard Klatzko, anch’esso ricercatore e produttore discografico specializzato in blues acustico e jazz delle origini, che ebbe la fortuna di registrare alcuni artisti di country blues. Alcune di queste tracce sonore arriveranno a far parte del catalogo della Yazoo che debutta nel 1968 con “Mississippi Blues 1927-1941” col numero di serie L-1001,

lo stesso che aveva nell’originaria edizione Belzona dell’anno precedente. Si susseguirono nel frattempo dei cambi di sede, passando l’anno seguente per breve tempo al 54 di King Street, per poi approdare al 9 West della Ventesima Strada, fino a raggiungere il 245 di Waverly Place, tutte località abbastanza vicine tra di loro e sempre sull’isola di Manhattan, a ridosso del Greenwich Village.

Nick Perls, Dick Waterman, Son House, Phil Spiro

Avere in mano in quegli anni un disco della Yazoo era un po’ come essere in possesso di un pezzo di storia della musica afroamericana, sia per l’importanza delle tracce sonore che del contenuto informativo con note dello stesso Perls ma, anche, con il fondamentale contributo di tantissimi ricercatori tra cui il già citato Steve Calt (con vari psedonimi), Don Kent, Lawrence Cohn, John Miller, David Evans, Jerome Epstein, Michael Stewart, John Fahey, Alan Wilson, Stefan Grossman, Woody Mann, David A. Jasen, Fred E. Cox, Robert Armstrong, David Grisman, Bengt Olson, David Jasen, Chris Smith, Mack McCormick che, chi più (Calt) chi meno hanno contribuito fino all’ultima pubblicazione su LP (L-1082/83) avvenuta nel 1989 a rendere prezioso ogni titolo della discografia della Yazoo.

Va tenuto in grande considerazione anche il contesto socio-politico e culturale di quel periodo di fine anni Sessanta, quando le nuove generazioni mostrarono finalmente un grande interesse per la musica afroamericana, spinte dalle rivendicazioni culturali, dalle lotte politiche e – non ultima – dalla grande influenza e l’interesse verso la black music arrivata dall’Inghilterra e dalle sue tante formazioni che, proprio dal blues, traevano maggior spunto.

Arrivare a scoprire talenti che sembravano potessero passare totalmente inosservati come Charley Patton, Rev. Gary Davis, Skip James, Blind Willie McTell, Big Bill Broonzy, Mississippi John Hurt e Blind Blake, solo per citare alcuni dei nomi più noti, oppure scoprire le differenti varianti locali del blues prebellico contribuì non poco a ridisegnare e a ridare ossigeno alla musica americana e, certamente, la Yazoo ha avuto un merito particolare in questa operazione di riscoperta di un genere musicale fino ad allora rinchiuso in periferiche baracche o su vecchi dischi destinati, per lo più, al macero.

L’operazione attuata da Pearl – e quelli come lui – fu quella di aprire le porte al blues verso le stanze e i giradischi di una nuova generazione che si considerava pronta ad ammettere gli errori di un’intera Nazione. Sappiamo benissimo che non furono tutte rose e fiori ma, allo stesso tempo, si deve affermare che allora – ahimè non più oggi – la musica ha avuto un ruolo determinante in un processo sociale fondamentale per gli Stati Uniti.

Chi non ha la fortuna di possedere i due volumi “Yazoo 1-20” e “Yazoo 21-83” redatti con precisione e pazienza dal britannico  B B MacLeod potrà trovare in rete (a questo indirizzo: https://www.wirz.de/music/yazoo.htm) l’elenco dettagliato di tutti i titoli, con relativo numero di catalogo, anno di pubblicazione, titoli dei brani, l’immagine di copertina e del retro e le note di ciascun album pubblicato.

Con un po’ di attenzione si potrà notare che tra gli LP mancano i numeri L-1075/76/78/79, mai pubblicati anche se gli ultimi due sono rintracciabili nella versione CD, ma il patrimonio culturale che ci viene lasciato è di notevole valore.

Le iconiche copertine Yazoo Records

Yazoo Records cover by Robert Crumb

Un capitolo a parte andrebbe destinato alle copertine dei vari album, altro punto di forza della piccola label newyorkese che, dopo i primi titoli un po’ artigianali, iniziò a proporre delle immagini sempre più convincenti con fotografie dei vari artisti, difficilmente recuperabili ai tempi, e soprattutto con veri e propri capolavori grazie alle penne di grandi artisti quali Robert Armstrong e Robert Crumb, due celebri illustratori, fumettisti, pittori ma anche musicisti (entrambi membri della retro string band R. Crumb & His Cheap Suit Serenaders che reinterpretava brani in perfetto stile anni Venti). L’avvento di questi due geniali disegnatori elevò ulteriormente la qualità del prodotto, capace di attirare anche visivamente nuovi ascoltatori alla causa del blues.

Nel frattempo Nick Pearls aveva fondato anche la Blue Goose Records, siamo agli inizi del 1970, progetto collaterale nato con l’intento di registrare – spesso nel salotto di casa sua nel West Village – nuovi e sconosciuti artisti da abbinare a qualche celebrità da lanciare sul mercato.

Quindi, oltre ad aver ridato vita a nomi tutelari quali Sam Chatmon, Skip James o Yank Rachell, ebbe la lungimiranza di introdurre nel mercato discografico figure come Larry Johnson, Jo Ann Kelly, Rory Block e Roy Book Binder, oltre all’ensemble di Robert Crumb.

Tornando a casa Yazoo potremmo entrare nel dettaglio di ognuna delle opere pubblicate, ma per far questo non basterebbero tutte le pagine di questa rivista e – comunque – nel sito sopra indicato chiunque può avere la possibilità di verificare quanto di buono fatto da Perls e dai suoi collaboratori.

Senza contare che la Shanachie, che ha rilevato la Yazoo dopo la prematura morte di Perls, avvenuta nel 1987, ha rimesso l’intero catalogo sul mercato in formato CD e ancora recuperabile, anche se con qualche difficoltà.

Preferisco, invece, soffermarmi alla differenza di approccio verso la musica (non solo blues) di quegli “impetuosi” anni a cavallo tra i sixties e i seventies e i nostri giorni.

Tenendo bene in considerazione che, fortunatamente, esistono ancora etichette votate verso un recupero culturale della musica popolare con prodotti di (a volte) anche altissima qualità (penso a Bear Family, Dust To Digital o Rhino) quello che è più evidente, al contrario di mezzo secolo fa, è che questi prodotti sono rivolti più o meno alle stesse persone e non ai giovani di oggi.

Anche questo fattore ha contribuito alla chiusura di parecchie etichette, al collasso quasi totale delle vendite di dischi, nonostante il recupero del vinile (per alcuni un oggetto sconosciuto), che pare essere la moda momentanea.

Non c’è più quella curiosità da parte delle nuove leve di vivere la musica nella sua totalità, ovvero come forma artistica ma, anche, sociale e culturale. La musica non è più fonte di discussione, mezzo di comunicazione ma solamente un riempitivo di giornate spesso noiose.

Senza fare un processo alle nuove generazioni, cosa per il quale non abbiamo i necessari mezzi di valutazione, viene da fare la constatazione di quanto sia differente essere giovani oggi rispetto ai “nostri anni”, anche se paradossalmente dovrebbe essere tutto più semplice e bello.

Sono parole al vento, velate di nostalgia e di amore per la musica.

Un amore cresciuto anche grazie al fondamentale lavoro della Yazoo Records verso la quale un po’ tutti noi sentiamo e dobbiamo un doveroso rispetto.


Antonio Boschi [Fonte: Il Blues n. 152, Settembre 2020]

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