Nell’area di Avalon, Mississippi, la terra è così piatta che se fai cadere una biglia stai pur certo che non si sposta neanche di un millimetro, nossignore se ne sta proprio ferma ad aspettare che una pianta di cotone arrivi a coprirla e proteggerla dal sole e dalle intemperie.  Neanche il fiume Yalobusha, che da quelle parti si diverte a ricamare il terreno dividendosi in tanti rami, riesce a spezzare la linea retta dell’orizzonte fino a che, ad Est di Greenwood, un fitto bosco inghiotte questa piccolissima comunità di case, quasi a volerle proteggere dal mondo esterno e preservarne la storia. Una storia umile e gentile come quella del contadino più famoso che ha lavorato quella fertile terra e che tutti conosciamo come Mississippi John Hurt.

Se passi da quella strada di terra battuta e arrivi sulla grande curva, nel più totale silenzio, trovi il Valley Store, dove il giovane John suonava nelle sere dopo il lavoro e poi – andando oltre – si arriva nella baracca di legno, appoggiata su alcuni mattoni, dove il grande bluesman ha vissuto e che ora, fortunatamente, è divenuto il Mississippi John Hurt Museum, fondato dalla nipote. Quando sei al cospetto di questa fragile ed umile struttura ti viene immediatamente da immaginare John seduto sotto il portico con la sua chitarra ad armonizzare una delle sue folk song più celebri, magari proprio quella “Avalon Blues” che ha permesso al ricercatore ed appassionato Tom Hoskins di rintracciare questa sperduta località nella contea di Carroll e, soprattutto, questo ormai sconosciuto artista, che se ne stava a godersi la sua vita, come piaceva a lui, in pace e serenità, che per un nero del Mississippi era già tanto.

Non erano così Avalon e Valley alla fine del XIX Secolo, quando John Hurt viene al mondo (1892 o 1893 a seconda delle varie bibliografie). Quella era un’area dove la raccolta del cotone era cosa seria e c’era, ovviamente, un deposito ferroviario, una stazione di servizio, l’ufficio postale e persino dei negozi, insomma l’intero universo per John Hurt che era arrivato ancora in fasce dalla vicina Teoc quando i genitori Isom Hurt e Mary Jane McCain riuscirono a liberarsi dalla schiavitù. Da qui parte la storia di questo grandissimo interprete della musica americana a cui abbiamo dato parecchio spazio negli anni sulla rivista Il Blues e vi consiglio di andare a recuperare l’articolo di Antonio Lodetti apparso nel n. 45 del dicembre 1993.


Mississippi John Hurt a Philadelphia nel 1964

Mississippi John Hurt, Philadelphia 1964 (foto Dick Waterman © per gentile concessione)


Ma se di questo mississippiano conosciamo pressoché tutto dal 1963, grazie alle tante partecipazioni a festival importanti (Newport su tutti), poco o nulla sappiamo di quello che accadeva nei dintorni di Avalon dal 1928 quando, grazie ai famosi 6 dischi a 78 giri incisi per la OKeh che lo videro diventare protagonista, quasi un’icona del blues.

È la storia di John Hurt che più appassiona, che lo vede contrapporsi ai tanti “belli e dannati” che hanno creato un po’ il mito del blues (prima) e del rock (successivamente). È forse il tempo di finirla con questi artisti con una vita sempre al limite, con queste connivenze forzate col maligno, con il moonshine e con il sesso.

Esisteva, fortunatamente, anche un blues più genuino, che profumava della terra lavorata di giorno, del sudore della fronte e del piacere di regalare emozioni (le poche, se non uniche possibili) ad un pubblico che nella musica trovava anche una speranza di vita. Ed, in effetti, il blues rurale di Mississippi John Hurt ha avuto la capacità di influenzare tantissime persone, così come la filosofia di vita di questo afroamericano dal sorriso dolce come il miele di Tupelo.

John Smith Hurt era figlio di due schiavi, in quelle condizioni da diverse generazioni, cioè da quando gli antenati di John vennero portati con la forza dall’Africa a lavorare nelle piantagioni del profondo Sud americano. Anche antenati europei bianchi hanno attraversato l’Oceano Atlantico per arrivare a colonizzare quei terreni che gli schiavi acquistati avrebbero lavorato.



Tra questi tanti Hurt che arrivarono in America tra la metà del 1700 e quella del 1800. Era proprio un Hurt (proveniente dalla Gran Bretagna o dalla Germania) che acquistò il giovane Isom che si trovò proiettato in una Avalon ben differente dall’attuale. Nel 1880, il periodo in cui il ragazzo arrivò dalla natia Alabama, la cittadina era situata sulle strade sterrate che dal piatto Delta salivano verso le colline, che sembravano posizionate apposta per rompere l’orizzonte fatto di foreste vergini, paludi e bayou.

Un terreno inadatto e invivibile fino alle prime modifiche atte a farlo diventare ideale per far crescere il cotone, l’oro bianco di quei tempi.  Qui avvenne l’incontro con Mary Jane McCain, ed è interessante notare come l’ex candidato alla presidenza USA del 2008, il senatore John McCain, fosse un diretto discendente di quel William Alexander McCain (trisavolo del politico) e proprietario di colei che diventerà la madre di John Hurt, ultimo figlio tra i 10 avuti dalla donna.

Ma erano anche gli anni della terribile epidemia di febbre gialla che nel 1878 causò la morte di oltre 20.000 persone, soprattutto lungo il corso del fiume Mississippi, tra New Orleans (pare l’epicentro della pandemia causa il Mardi Gras) e Memphis, allora una delle città più fiorenti a livello commerciale e dei trasporti. Ma un po’ di fortuna, alla fine, non guasta e la futura famiglia Hurt la scampa e così può prendere il via la storia del giovane John e del suo incontro con la musica.

La musica al di sopra a qualsiasi cosa, d’altro canto non è che la piantagione di cotone potesse offrire chissà quale svago per questi braccianti che arrivavano alla sera stremati dal lavoro nei campi, e neppure per i bimbi. Quindi la musica era l’entertainment principale (se non unico) dove si iniziò a vedere come quella degli schiavi africani riuscisse e fondersi con quella anglo-scoto-irlandese, spesso spinta dai ricchi proprietari terreni.

Banjo e violino erano gli strumenti principali dell’epoca (non immaginatevi l’alta liuteria ma, bensì, dell’”homemade” che riusciva, comunque a dare i propri frutti). Ben presto arrivò anche la chitarra cha andrà a sostituire, per duttilità e prezzo, gli altri strumenti popolari. Nel frattempo la famiglia del piccolo John S. Hurt si trasferisce definitivamente ad Avalon, proveniente dalla piantagione di Teoc, ad occupare e lavorare il piccolo appezzamento acquistato.

Questa diverrà la casa definitiva di John Hurt, che vivrà per un lunghissimo periodo della propria vita in questa spartana dimora. Il piccolo John iniziò presto a dilettarsi con la musica basandosi su di un repertorio con origini di vasta portata, che vedeva miscelarsi le sonorità africane con quelle europee, in particolare proveniente dalle tradizioni irlandesi e scozzesi.

Anche dopo l’emancipazione la musica rimase fulcro centrale della vita degli afroamericani dove blues rurale e ragtime contribuirono non poco a rendere la chitarra lo strumento principe, perfettamente inserito anche nei contesti delle string band e jug band. Erano gli anni nei quali si iniziavano le prime registrazioni, stava partendo una nuova era che avrebbe segnato la storia della musica moderna.


Mississippi John Hurt, Cincinnati Train Station, 1966

Mississippi John Hurt, Cincinnati Train Station, 1966 (foto Dick Waterman © per gentile concessione)


L’infanzia di John la possiamo considerare abbastanza serena, cresciuto in una Avalon al tempo luogo molto frequentato, come bambino più giovane era certamente ben curato e supervisionato dai fratelli maggiori, capaci di sostituirsi al padre prematuramente scomparso.

Il più giovane Hurt soleva recarsi ogni mattina verso Nord al bivio lungo la St. James Road e nei pressi del cimitero dove riposavano le spoglie delle famiglie Church e Hurt per frequentare la St. James School, conosciuta anche come Joliff Line School, che seguì fino alla quinta elementare per, poi, offrire i propri servizi a sostegno della famiglia, come capitava in quasi tutte le realtà nere del Sud.

La raccolta del cotone divenne, quindi, il nuovo lavoro per John che gli permetteva, vista la sua abilità, di guadagnare $ 1,50 al giorno. Le famiglie rurali afroamericane erano, in quegli anni, fortemente matriarcali e chi aveva un maggior numero di figli da impegnare nel lavoro traeva un notevole vantaggio ma, nonostante questo, la minaccia era sempre in agguato e nel 1906 Mary Jane fu costretta a vendere parte dei suoi possedimenti.

Nel frattempo John Hurt aveva iniziato ad esibirsi pubblicamente sia nelle feste private che fuori dal Valley Store dove, nel frattempo, ascoltava i vari pettegolezzi locali e, allo stesso tempo, veniva a conoscenza di quello che stava accadendo negli States. Pare che John abbia imparato a suonare la chitarra a nove anni da William Henry Carson, un vicino di casa, prima impratichendosi sulla chitarra dello stesso Carson poi riuscendo a convincere la madre ad acquistare uno strumento di seconda mano che diverrà amico inseparabile, tanto che verrà battezzata col nome Black Annie, sostenendo che quello fosse il marchio dello strumento.

Sicuramente si trattava di uno strumento economico, di quelli acquistati per corrispondenza (facilmente presso lo Stinton’s Store di Avalon), molto probabilmente una chitarra Stella, molto in voga in quel periodo, vedasi Charlie Patton, Blind Lemon Jefferson, Barbeque Bob, Blind Blake o Blind Willie McTell, per citarne solo alcuni che utilizzavano questa marca di chitarre. Erano anni particolarmente duri quelli, con una situazione razziale assai complessa e la musica riusciva, anche se solo in parte, a mitigare la sofferenza di un intero popolo, oltre che a dargli voce. Intanto il giovane John iniziava a fare progressi, e che progressi.

Pare che i primi brani imparati fossero “Hop Joint” e Good Morning Miss Carrie”, quest’ultimo uscito dalla penna di Chris Smith e Elmer Bowman con testo di Cecil “Mack” McPherson che divenne, agli albori del XX Secolo un grande successo. Era un tipico brano ragtime o “coon” dell’epoca, mentre “Hop Joint” uno dei primi blues che John Hurt imparò ad interpretare con maestria, sfruttando le fondamentali lezioni ricevute da Carson ed iniziando a dare la propria impronta e personalità al suono che scaturiva dalla sua chitarra, che vedeva un forte schema di bassi alternati accoppiato ad una melodia sincopata sulle corde più alte.

Ovviamente anche Carson avrà subìto influenze da coloro che potremmo definire i “pre-bluesmen” dell’epoca ma – ovviamente – non abbiamo alcuna traccia registrata, in quanto è solo dagli anni ’20 che le case discografiche hanno iniziato a tenere traccia di quel nuovo genere musicale che stava nascendo. Mississippi John Hurt venne indubbiamente influenzato da materiale uscito nei primi anni del Novecento, tra cui “Stack O’ Lee Blues”, “Funky Butt” e “Hot Time In The Old Town Tonight”.

Non va dimenticato il blues scritto a quattro mani da Bodewalt Lampe e George Sidney “Creole Belles” che Hurt utilizzò per creare la sua personale versione di “My Creole Belle”, variandone quasi totalmente il testo. Anche John Hurt non è rimasto immune dall’eroico personaggio di Jonathan Luther “Casey” John, il celebre macchinista che sacrificò la propria vita per evitare che il più celebre incidente ferroviario avvenuto a Vaughan, Mississippi, potesse avere conseguenze drammatiche (anche se resoconti del periodo arrivano anche a far temere che fosse proprio un errore di Casey Jones ad aver creato il terribile impatto tra due treni).


Mississippi John Hurt e Skip James

Mississippi John Hurt, Skip James, Newport Folk Festival 1964 (foto Dick Waterman © per gentile concessione)


Nel repertorio di Mississippi John Hurt troviamo – sempre attese dal suo pubblico – due canzoni dedicate al celebre brave engineer, “Casey Jones” e “Talkin’ Casey Jones”. Anche la figura di Lee Shelton, l’assassino divenuto celebre come Stagger Lee (Stackolee ed altre varianti del nome) entrò ben presto nell’immaginario musicale del periodo e la versione che ci ha regalato John Hurt viene da molti considerata come quella definitiva.

Quello che un po’ sorprende, visto il mite carattere (anche se è abbastanza facile ipotizzare il motivo), è vedere come nelle prime celebri tracce sonore incise da Mississippi John Hurt (che possiamo recuperare nell’album “Mississippi John Hurt: 1928 Sessions” della Yazoo uscito nel 1979 col numero di catalogo L-1065 e nelle successive raccolte) sei erano a tema violento, vedi “Ain’t No Tellin'”, “Stack O’ Lee Blues”, “Louis Collins”, “Frankie”, “Cot the Blues, Can’t Be Satisfied” e “Nobody’s Dirty Business”. Una bella analisi di tutto ciò la possiamo trovare nell’interessantissimo volume “Mississippi John Hurt – His Life, His Times, His Blues” di Philip R Ratcliffe, edito dall’University Press Of Mississippi per la prima volta nel 2011 (Il Blues n. 118), e che ripercorre tutta la vita del simpatico bluesman di Avalon.

Sono varie le ipotesi, da una richiesta della OKeh stessa di inserire questi brani ma, anche, che il blues di quegli anni rifletteva tutte le frustrazioni dovute dalla soppressione da parte dei bianchi, quindi una spiegazione sociale di una società repressa. Ma poteva pur essere che Mississippi John Hurt riproponesse solo brani che gli piacevano ai quali, comunque, spesso veniva data una visione quasi umoristica.

Resta il fatto – sicuramente il più importante – che la musica di Hurt era vera arte, fosse scritta di suo pugno quanto la riproposizione di brani altrui, con quello stile chitarristico dominante e che lascerà un segno fondamentale soprattutto ai tantissimi autori bianchi che arriveranno ad incontrare la musica di John Hurt dopo la sua clamorosa riscoperta avvenuta negli anni ’60.

Aveva creato un genere musicale che è stato riduttivamente archiviato sotto il nome blues ma che, al contrario, era molto più vasto e aperto, grazie a quei fondamentali scambi tra la musica nera e bianca nati tra i vari spettacoli itineranti o i vari medicine show che poi – se ci pensiamo bene – stanno alla base della musica americana.

Nel frattempo la vita di John è continuata, con un matrimonio, la creazione di una famiglia il dover affrontare la terribile alluvione del Mississippi dell’aprile 1927, la grave crisi economica che attanagliava il Paese, ma ha sempre continuato la sua mite vita, facendo il mezzadro e seguendo la propria filosofia di vita, vera lezione per tanti, fino a quando alla sua fattoria non sono arrivati Tom Hoskins e Mike Stewart e qui comincia la seconda parte della vita di John Hurt, diventato a settant’anni una vera star, ma lui star lo era comunque anche a bordo del suo trattore, laggiù nelle terre piatte del Mississippi.


Antonio Boschi [Fonte: Il Blues n. 157, Dicembre 2021]


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