Gordon Lightfoot– If You Could Read My Mind recensione

Ho sempre amato questo disco del cantautore canadese Gordon Lightfoot, una sorta di “patrimonio nazionale” per Robbie Robertson, uno degli artisti preferiti da Tony Rice il quale ha spesso ripreso brani del canadese e, addirittura, inciso un intero album di sue composizioni.

Nativo di Orillia, nell’Ontario, ha iniziato a farsi notare sui palchi negli anni ’60 assieme all’amico Phil Ochs debuttando col primo album, “Lightfoot” nel 1966 pubblicato dalla United Artists grazie ad Albert Grossman, allora manager di Dylan. Dopo altri 4 album con l’etichetta di Beverly Hills eccolo passare alla Reprise dove, nel 1970, vedrà la luce l’album intitolato “Sit Down Young Stranger” che conteneva l’hit “If You Could Read My Mind”.

L’album non vendette bene, ma il successo della canzone portò a ristampare l’album con il titolo della fortunata canzone e col numero 6392 e segnò un punto di svolta nella carriera di Gordon.

Gordon Lightfoot– If You Could Read My Mind

Un album gentile, dal mite carattere e dalle grandi emozioni raccontate con magnifico equilibrio, capace di regalare alcune gemme intramontabili, purtroppo passate quasi inosservate nel Vecchio Continente.

Un’opera matura che si manifesta alle prime note di “Minstrel Of The Dawn”, dai toni bassi e con un’atmosfera capace di catturarti da subito. Segue la cover del più celebre brano di Kris Kristofferson, quella leggendaria “Me And Bobby McGee”, qui in una delle più belle versioni di sempre, scarna, pulita e minimale e che vede Ry Cooder alla slide guitar.

“Approaching Lavender” è bellissima e gode appieno dell’arrangiamento per archi ad opera di Randy Newman che sa indubbiamente il fatto suo e regala al brano (come nell’iniziale Minstrel Of The Dawn) una marcia in più.

La leggerezza di “Sarurday Clothes” dall’atmosfera retrò un po’ alla Harry Nilsson vede John B. Sebastian impegnato all’Auto Harp mentre nella seguente “Cobwebs & Dust” è Van Dyke Parks che duetta con Gordon Lightfoot all’Harmonium in questo leggero walzer che narra di un uomo che tristemente dà l’addio alla sua terra d’origine.

Chiude la prima facciata “Poor Little Allison”, una sorta di country song imperlata dalla sezione d’archi arrangiata da Nick DeCaro.

La seconda facciata inizia subito con un piccolo capolavoro: la ballata solo chitarra e voce “Sit Down Young Stranger” dal suono essenziale e che emoziona come poche.

Subito dopo tocca al brano di maggior successo che dà il titolo all’album e che vede ancora Nick DeCaro contribuire coi suoi arrangiamenti. Ascoltandola si capisce come possa essere diventata così famosa in quegli anni, una ballata che potrebbe essere una perfetta colonna sonora dove la voce di Lightfoot è carica di pathos.

Torna John B. Sebastian, questa volta con la chitarra elettrica, ad impreziosire “Baby It’s Allright” che per nulla stonerebbe nel repertorio di Dave Alvin, anzi mi piacerebbe proprio sentirgliela interpretare. Per me una delle vette dell’intero album.

Un’atmosfera soffusa e pacata, complici gli archi di DeCaro, ci portano a valorizzare “Your Love’s Return (Song for Stephen Foster)” e che ci accompagna all’intimità della conclusiva “The Pony Man”, impreziosita dall’armonica di Sebastian.

Una storia fantastica, vista con gli occhi di un bambino, e che chiude come meglio non poteva questo bellissimo album al quale seguiranno altri bellissimi lavori, segnale inequivocabile della bravura di questo quasi settantanovenne artista, ancora in attività.

[Antonio Boschi]


Gordon Lightfoot– If You Could Read My Mind cover album


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