Crosby, Stills, Nash & Young – 4 Way Street recensione album di Antonio Boschi

Il 7 aprile 1971 faceva il suo debutto sul mercato mondiale “4 Way Street” (Atlantic, 60 003 | 2-902) l’album dal vivo più bello e famoso di Crosby, Stills, Nash & Young, emblema di un’intera generazione e crocevia di 4 strade con differenti esiti per 4 grandissimi musicisti che non riusciranno più a trovare quella magica alchimia che li aveva portati ad essere il supergruppo più famoso e pagato al mondo.

Dopo il clamoroso successo di Déjà vu dell’anno precedente questo doppio vinile ci ripropone solo una parte delle esibizioni tenute da Crosby Stills Nash & Young – con l’aggiunta dei bravi Johnny Barbata alla batteria e di Calvin “Fuzzy” Samuel al basso – tra il 2 e il 5 luglio del 1970 al celebre Fillmore East di New York, al Forum di Los Angeles e al Chicago Auditorium della celebre metropoli dell’Illinois. Questa è, bootleg a parte, l’unica e la qualitativamente migliore occasione per ascoltare questi 4 colossi della musica dal vivo e nel loro migliore periodo artistico. Un concerto che si divide tra acustico ed elettrico, tra brani in completa solitudine e corali, ma capace di regalare brividi dalla prima all’ultima nota.

Possiamo sentire come le armonie vocali non erano trucchi di studio, ascoltare brani già apparsi su precedenti album del gruppo o dei singoli o ancora inediti ma, soprattutto, possiamo avere una tangibile e reale occasione di capire cosa voleva dire avere sullo stesso palco Stephen Stills e Neil Young che duellavano furiosamente con le loro chitarre in un intreccio tra psichedelia e rock che aveva reso immortale ogni concerto dei Buffalo Springfield.

L’album parte con le bellissime note finali di “Suite: Judy Blue Eyes” che precedono l’ingresso del canadese che ci regala una magnifica “On The Way Home” aiutato alle armonie vocali dagli altri 3 amici. Tocca a Graham Nash proporci una delle sue più celebri canzoni, quella “Teach Your Children” che, pur priva della pedal steel di Jerry Garcia, saprà fare sognare intere generazioni.

Segue David Crosby con la sua magnifica voce e la scabrosa e, allo stesso tempo, sublime “Triad” dal testo talmente provocatorio che i Byrds si rifiutarono di interpretarla. Ancora il baffuto Croz con uno dei gioielli del disco, “The Lee Shore” assieme all’amico Nash che diverrà vero protagonista con la seguente “Chicago/We Can Change The World”, pianistica e meravigliosamente interpretata, che apparirà il mese successivo sull’album solista del cantautore inglese “Song For Beginners”.

È tempo di voltare il primo dei 2 vinili e ancora il duo ci propone una delicata “Right Between The Eyes” prima di lasciare posto al solitario Young che ci regala 2 vere perle. “Cowgirl In The Sand” in una acustica e quasi sommessa versione che è in totale antitesi con l’originale ed elettrica apparsa in “Everybody Knows This Is Nowhere” e il gioiello “Don’t Let It Bring You Down” da “After The Gold Rush”.

Il compito di chiudere tocca a Stills che subito ci stupisce proponendoci “49 Bye-Byes/America’s Children” pianistica ed inventata al momento ma che, alla fine, risulterà un vero capolavoro. Imbraccerà, infine, la sua Martin D45 per interpretare, assieme agli altri amici, “Love The One You’re With” dal bellissimo album di debutto del texano.

Si chiude così la sezione acustica di questo 4 Way Street ed eccoci alla grintosa parte elettrica che apre il lato 3 con “Pre-Road Downs” di Nash e qui iniziano a scaldarsi i due chitarristi in un continuo rincorrersi che inizierà a farsi particolarmente incessante dalla seguente “Long Time Gone”, sempre bellissima con lo scambio vocale tra Crosby e Stills.

Sono, però, i 13 minuti di “Southern Man” a colpirci con le delicate, prima, e graffianti, poi, note dei due amici/nemici dove uno Stills più tecnico e blues si scontra con Young e tutta la sua irruenza. Un brano ancora oggi spiazzante per bellezza, così come la seguente “Ohio” – sempre dal repertorio di Young e che apre l’ultima facciata – con tutta la sua sferzante drammaticità a raccontarci dei tristissimi fatti accaduti nel Campus di Kent.

Nemmeno un attimo di pace e subito “Carry On” ci riporta ad una ipnotica e lunghissima cavalcata chitarristica nel celebre brano che apriva “Déjà vu”. Pace, quasi eterna, che giungerà con la conclusiva “Find The Cost Of Freedom” dove, dopo una introduzione di chitarre acustiche, le voci – da sole – dei 4 saranno libere di regalarci tutta la drammaticità di questo brano, perfetto per chiudere concerto e album.

Nel 1992 è uscita una nuova versione in CD con sole 4 bonus track, “King Midas In Reverse” scritta da Nash assieme a Allan Clark e Tony Hicks, suoi compagni negli Hollies, la bellissima “Laughing” di Crosby che finirà in quel capolavoro assoluto che è “If I Could Only Remember My Name” e il blues di Stills “Black Queen” sempre dall’omonimo suo primo album. Ma il pezzo forte è il conclusivo medley “The Loner/Cinnamon Girl/Down By The River” col quale Neil Young ci dimostra che è, indiscutibilmente, uno dei più grandi interpreti della musica moderna.

Neanche da dirlo che questo di Crosby Stills Nash & Young è uno di quei dischi che dovrebbe passare la Mutua.

[Antonio Boschi]


Crosby, Stills, Nash & Young – 4 Way Street cover album

2 Responses

  1. Disco fantastico che ha segnato i miei 16/17 anni , in un periodo in cui la mia stanza , o meglio il mio spazio da studente sfigato, sembrava un concentrato di Laurel Canyon, deserti del southwest,Frisco e La. , la Highways Pacific Number 1 con intermezzi ,divagazioni e variazioni che abbracciavano il blues, il Southern Rock , Johnny Cash il Dylan zingaresco, Johnny Cash,la New York sotterranea e i Rolling Stones …dove sull’ altro lato invece, mio fratello tutto concentrato sui Beatles e Pink Floyd sognava una Londra umida e uggiosa. CSN & Y comunque, erano la linea di confine e al tempo stesso la band che ci univa e cullava e su cui non avremmo fatto interminabili discussioni. Bastava mettere sul piatto questo disco e la magia si appiccicava su quelle mura rivestite da una carta parati color carta di zucchero. Non so cosa lui immaginasse ….so solo che io ero innamorato perso di un amore non corrisposto e ci affogavo dentro fino alla fine del primo disco, poi prendevo l’ altro e mi facevo coinvolgere da quelle chitarre e non pensavo più a niente, perché mi sembrava di essere altrove.

    Armando Chiechi

  2. Spesso penso a cosa si stanno perdendo i giovani d’oggi, se vogliamo più fortunati di noi ma che non hanno la musica che li unisce. Non hanno la musica che è parte centrale della loro vita e – allora – mi dico che i veri fortunati eravamo noi, perché a queste sensazioni non sarei capace di rinunciarvi nemmeno oggi.

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