C’è voluto un album triplo, dalla copertina che più intrigante non si può, di una bellezza ancora oggi cristallina per sparigliare le carte in quell’Italia musicale che credeva ancora che “Harvest” di Neil Young rappresentasse la musica country.
Era il lontano 1972, mezzo secolo fa, ma sembra ieri quando un po’ in tutta Europa (ma credo anche in buona parte degli USA) si iniziava a capire cos’era effettivamente la musica tradizionale americana di matrice bianca, visto che qualche nozione di blues – per fortuna – era già arrivata.
È difficile ancora oggi far chiarezza sul concetto di “country music” e farne capire determinanti differenze da quello che rappresenta il suono commerciale di una città come Nashville, capitale del Tennessee e vera e propria fabbrica di soldi.
Per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro nel tempo, ancora prima che fonografi e radio arrivassero a portare la musica nelle case dei tanti americani.
Dobbiamo anche arrampicarci sulle pendici dei Monti Appalachi, la lunghissima catena montuosa che scorre da Nord a Sud pressappoco parallelamente alla costa atlantica orientale, quasi a voler proteggere tutta quella zona dall’arrivo dell’era moderna.
Inoltriamoci verso le Blue Ridge Mountain, a ridosso di Stati quali le due Caroline, la Virginia, Kentucky e Tennessee. Zone altamente rurali oppure minerarie, dove il tempo pare essersi fermato ai giorni dei primi insediamenti delle popolazioni europee, britannici, olandesi e tedeschi su tutti. A conferma di ciò basti pensare come Cecil Sharpe, fondamentale etno-musicologo inglese, si recò proprio in quelle aree per recuperare le canzoni delle tradizioni anglo-scoto-irlandesi totalmente andate perse in patria ma ancora ben salde nella memoria e nelle esibizioni musicali in territorio americano.
Da qui prese il via tutto quello che possiamo definire la musica folkloristica americana, che comprendeva anche (ed ovviamente) l’Old-Time Music e il Bluegrass che, per il fatto di avere al loro interno un banjo, un mandolino o un violino è stata subito erroneamente catalogata come country music.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, sulla scia di formazioni quali Dillards, The Band, Flying Burrito Brothers, Byrds ed altre si iniziò ad andare alla ricerca di quei suoni perduti tra le boschive vallate appalachiane. Tra queste formazioni di country rock c’era la Nitty Gritty Dirt Band, cinque ragazzi californiani con già all’attivo una mezza dozzina di album, tra cui il bellissimo “Uncle Charlie & His Dog Teddy” che li rese famosi per la loro versione del brano di Jerry Jeff Walker “Mr. Bojangles” e che conteneva – al proprio interno – il seme che avrebbe portato alla creazione di uno dei progetti più intelligenti di tutta la discografia statunitense.
Will The Circle Be Unbroken, l’album che fece conoscere il bluegrass al grande pubblico
L’idea di John McEuen, Jimmy Ibbotson, Jeff Hanna, Jimmy Fadden e Les Thompson fu quella di farsi aiutare da una nutrita schiera tra i migliori esponenti della musica tradizionale americana, pressoché sconosciuti al pubblico europeo.
Fu come un fulmine a ciel sereno che ci regalò una delle più belle ed importanti testimonianze di grande musica e, soprattutto, come fu facile e possibile poter mettere sullo stesso palco (o studio di registrazione) esponenti della musica così differenti tra loro, da una parte spesso anziani tradizionalisti e, dall’altra, la “nuova leva” della musica americana. Una netta differenza culturale, sociale e, spesso, politica che veniva totalmente annullata dalla potenza dei suoni delle tradizioni.
Il risultato, per nulla scontato, è ancora oggi una delle pietre miliari della musica popolare, che ha dato l’ispirazione ad una serie di progetti e formazioni che arriveranno a fare la storia della musica dello scorso secolo. Il triplo vinile portava il titolo “Will The Circle be Unbroken” che, se qui in Italia era pressoché indecifrabile, in quell’area degli States aveva una valenza enorme in quanto popolarissimo inno cristiano dei primissimi anni del Novecento, poi divenuto uno dei brani maggiormente popolari della Carter Family, formazione determinante per l’evoluzione della musica americana.
Mother Maybelle Carter – nota anche per essere stata la suocera di Johnny Cash – è una delle più importanti ospiti dell’album della NGDB che ci ha dato la possibilità di conoscere personaggi incredibili che hanno fatto la storia di questo genere musicale, come Doc Watson – forse il miglior chitarrista acustico di popular music mai esistito – Merle Travis, cantautore dal particolare stile fingerpicking sulla sua chitarra, e Jimmy Martin, considerato uno dei re del bluegrass. Ma, anche, il fiddler Vassar Clements, sicuramente uno dei più abili violinisti che gli USA abbiamo avuto, così come Earl Scruggs lo possiamo considerare uno dei padri del five string banjo, lo strumento che, forse, viene meglio identificato con la musica popolare bianca (forse l’unico strumento americano anche se di origine africana).
Abbiamo scoperto il Dobro, lo strumento che vagamente può ricordare la chitarra hawaiana qui nelle mani di Pete “Oswald” Kirby o nuove leve della musica folk come il chitarrista Norman Blake che saprà farsi apprezzare come uno dei più abili ed intelligenti nella sua lunga carriera.
La voce di Roy Acuff ci ha insegnato come si canta l’old-time e il bluegrass, che non è roba per tutti, e che – come il blues – è la musica che esprime e rappresenta una certa popolazione ed il suo territorio.
Musiche – di origine bianca e afro-americana, nel caso del blues – che non vanno considerate in modo separato, anzi proprio la loro commistione è quella che ha generato prima il Rock’n’Roll per arrivare ben presto al rock vero e proprio e ad una buona parte della musica di oggi.
“Will The Circle Be Unbroken” – quindi – è un disco fondamentale, patrimonio dell’umanità e considerato, ancora oggi uno dei capisaldi assoluti della musica tradizionale americana, che ha dato il via ad una serie di progetti e collaborazioni fino ad allora insperate.
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