Dell’importanza che ha avuto su più di una generazione un evento allora epocale (siamo nell’estate 1969) come il Festival di Woodstock penso che sia chiaro a tutti. Ci troviamo di fronte al più grande avvenimento – ma non il primo – che, forse inconsapevolmente per i più, sanciva la fine della Summer Of Love nata quattro anni prima nel quartiere di Haight-Ashbury a San Francisco.
Ma era anche l’evento che apriva le porte di una cultura al mondo esterno, grazie anche al film, uscito l’anno seguente e diretto da Michael Wadleigh, che narrava in 3 intense ore quanto accadde il 15-16-17 (e anche parte del 18) agosto a Bethel nella Contea di Sullivan e nello Stato di New York.
Non deve essere stata una passeggiata per Michael Lang (1944-2022) e soci organizzare un evento di tale portata con un’affluenza di oltre 500.000 persone giunte da ogni angolo d’America e, anche, saper coinvolgere un numero così alto di artisti (32 tra gruppi e solisti) da avvicendare sul parco durante quei 3 giorni di pace e musica.
Ovviamente oltre al film seguirono dischi, un triplo uscito l’11 maggio 1970 (Atlantic Records, 60 001) e un doppio uscito il 12 luglio 1971 (Atlantic Records, 60 002) che, assieme, racchiudevano circa 3 ore di musica; una percentuale bassissima rispetto alle tante ore di esibizioni live dell’evento. La grande importanza, soprattutto del film per noi italiani, fu che era pressoché l’unica occasione (assieme al Monterey Pop Festival e pochissimi altri) per vedere i nostri beniamini in azione, cosa che ora può sembrare banale e irreale, ma negli anni ’70 non c’era da star troppo allegri e si correva ogni volta che il cinema lo passava (eh, si, si andava al cinema a vedere Woodstock e più tardi “The Song Remains The Same” dei Led Zeppelin o “Rust Never Sleeps” di Neil Young, mica esistevano le videocassette).
Assunse quindi una rilevanza anche superiore alla reale, diventando un cult nonostante le esibizioni non fossero tutte di livelli indimenticabili. Ma qualcosa di veramente grande – comunque – ce lo hanno regalato questi 5 LP che hanno macinato Km su Km sul nostro giradischi, nei proiettori dei cinema, poi nelle testine dei videolettori VHS, poi dai vari CD e DVD (Woodstock rimane una macchina da soldi e ogni scusa è buona per fare una ristampa che noi patiti, puntualmente, acquistiamo) e che io ancora me lo guardo o ascolto di tanto in tanto.
I protagonisti di Woodstock
Prima di tutto ci sono Crosby, Stills & Nash che si erano da poco messi insieme e che ci regalano una versione da brividi di “Suite: Judy Blue Eyes” senza dimenticare la parte con Neil Young (che non diede il permesso di essere ripreso poiché non voleva telecamere sul palco) che solo “Sea Of Madness” (il brano che appare sul disco, però, non arriva dal famoso concerto in questione e, comunque, quasi mai proposto dal canadese, ma rintracciate il film “At Big Sur”) vale l’acquisto dell’album.
Poi c’erano i Canned Heat, un giovanissimo Santana (quando era bravo), un Joe Cocker da brividi, Alvin Lee coi suoi Ten Years After che allora sembrava un mostro con la sua Gibson 335 suonata solo a pennate in giù.
Nel film abbiamo potuto vedere i bellissimi occhi di Grace Slick e nel disco ascoltare quel gran gruppo che erano i Jefferson Airplane, poi c’era Jimi Hendrix anche se non tra le migliori cose prodotte dal mancino di Seattle.
E che dire degli Who che ti travolgono letteralmente con “We’re Not Gonna Take It” dove Pete Townshend caricato a pallettoni (beh, chiamiamoli così), tuta da lavoro bianca, Doc Martens ai piedi e Gibson SG (dove sarà finita dopo che l’ha lanciata al pubblico) è una delle cose più belle e sensuali di tutto il film.
Nel doppio abbiamo anche la possibilità di sentire i Mountain, soprattutto con la loro bellissima “Theme For An Immaginary Western”, ancora CSN&Y, Hendrix, Jefferson e la Butterfield Blues Band, Melanie e Joan Baez.
Mancano sia nei dischi che nel film, in alcuni casi direi inspiegabilmente, The Band, Creedence Clearwater Revival, Grateful Dead (ma non fu una grande esibizione per colpa di un acido di scarsa qualità), Johnny Winter ed altri più o meno noti ma nel complesso direi che il risultato è più che soddisfacente e Woodstock rimane uno di quei prodotti che non smetteremo mai di amare. Peace & Love.
[Antonio Boschi]
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