L’importanza della Nitty Gritty Dirt Band ha – almeno per noi italiani – un duplice valore. Partiamo dal considerare che a casa nostra musica country equivaleva a Crosby, Stills, Nash & Young e tutto quello che era avvenuto (e continuava ad avvenire) dai monti Appalachi in giù era pressoché sconosciuto, se non a pochissimi studiosi di folklore popolare. Basta prendere una qualsiasi enciclopedia dei primi anni ’60 e ce ne possiamo rendere tranquillamente conto.
Quando, quindi, nel 1972 arrivò nei nostri negozi di dischi il bellissimo album triplo “Will The Circle Be Unbroken” è come se avessimo scoperto l’America. Un disco, oltre ad essere molto bello, che possiamo considerare addirittura seminale. Totalmente acustico vedeva – protagonisti assoluti – strumenti come banjo, chitarra, violino e mandolino oltre alle voci e che raggruppava, accanto alla NGDB, alcuni dei personaggi storici della musica popolare bianca, come Doc Watson, Maybelle Carter, Vassar Clements, Earl Scruggs, Merle Travis, Peter “Osward” Kirby tra i più noti.
Ma non sono solo questi i meriti di questa band, nata alla metà degli anni ’60 a Long Beach, California, da un’idea del chitarrista e cantante Jeff Hanna che ha visto tra le proprie fila anche Jackson Browne.
Dopo periodi di assestamenti e di stop la Nitty Gritty Dirt Band si riforma sul finire del decennio con, oltre ad Hanna, Jimmie Fadden, Les Thompson, John McEuen e Jimmy Ibbotson, tutti pluristrumentisti nonché cantanti.
Nitty Gritty Dirt Band – Uncle Charlie & His Dog Teddy
Nel 1970 vede la luce “Uncle Charlie & His Dog Teddy” (Liberty 3C 054-61220) che unisce ai suoni tradizionali dell’America bianca con il blues, con il rock, la jug music degli esordi, il country senza le pacchianerie della Nashville che guardava al business e c’era il bluegrass che l’anno dopo avrebbe fatto il “colpo grosso”.
Un’unione di generi per nulla banale in quegli anni, anche se The Band aveva già aperto la strada, capace di conquistare il pubblico americano arrivando al 9° posto nelle hit con la cover del brano “Mr. Bojangles” del texano Jerry Jeff Walker, seconda solamente alla versione di David Bromberg apparsa sul suo “Demon In Disguise”.
Con una copertina particolarmente accattivante, che vede il vecchio zio Charlie assieme al suo bastardino Teddy ripresi in una foto anticata, il disco ci propone una serie di brani di grandissimo spessore, dall’iniziale “Some Of Shelly’s Blues” alla seguente “Prodigal’s Return”, scritta da Kenny Loggins.
Un breve duetto di banjos apre “Cure” ai quali una bella chitarra elettrica si aggiunge a creare la melodia. Mandolino e armonica sono, invece, i protagonisti di “Travelin’ Mood” che ci accompagna al bel country-rock (ancora di Loggins) “Yukon Railroad”.
“Livin’ Whitout You”, dal repertorio di Randy Newman, è una dolce ballata acustica con le chitarre protagoniste assolute. Quasi rock’n’roll “Rave On” che apre ad un breve ma intenso traditional: “Billy In The Low Ground”.
“Jesse James” fu registrata nel 1963 e ad interpretarla sono Uncle Charlie (che era un parente della moglie di Bill McEuen, fratello di John e produttore della band) e il cane Teddy coi suoi ululati finali.
Dopo Mr. Bojangles eccoci ad un virtuosismo in chiave classica di John McEuen che col banjo ripropone la “Opus 36” di Muzio Clementi. Ancora un brano di Kenny Loggins (saranno 4 in tutto), “Santa Rosa” che è una gran bella ballad come la seguente “Propinquity” dalla penna di Michael Nesmith che ci porta al blues di Jimmy Fadden “Uncle Charlie”.
“Randy Lynn Rag” è un tipico bluegrass dal repertorio del grande banjoista Earl Scruggs, mentre “House At Pooh Corner” (ecco la quarta) ci racconta del famoso orsacchiotto della favola di Alan Alexander Milne e del suo amico Christopher Robin.
Chiude l’album una brevissima “Swanee River” di sola armonica e lo zio Charlie con una sgangherata chitarra e un altrettanto malconcia armonica in un misto tra “Spanish Fandango” ed intervista dove il whiskey aveva fatto la sua parte. Un disco da avere, anche se non si ama il genere.
[Antonio Boschi]
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