Non deve essere facile portarsi appresso il cognome di uno dei più importanti musicisti che l’America abbia mai avuto, eppure Arlo Guthrie ha fatto tutto con grande naturalezza, arrivando a scrivere ed interpretare pezzi della storia della musica popolare americana.
Trascorso un anno esatto dal meraviglioso “Hobo’s Lullaby” – che conteneva l’hit “City Of New Orleans” di Steve Goodman – nell’aprile del 1973 vede la luce “Last Of The Brooklyn Cowboys” (Reprise MS 2142), una delle massime vette artistiche del folk singer e songwriter newyorkese, divenuto celebre per l’album “Alice’s Restaurant Massacre” (1967), per il relativo film diretto da Arthur Penn e per la sua partecipazione a Woodstock.
Sempre fedele verso un messaggio da trasmettere (a volte anche al fianco di Pete Seeger che col padre Woody, suo grande amico, è stato uno dei principali musicisti della scena folk di protesta statunitense) certamente non ha prodotto, nella sua carriera, album particolarmente remunerativi e non tutti del livello del disco in questione dove, accompagnato da un numero veramente importante di amici, Arlo ci regala alcune perle indimenticabili, andando a ripescare nelle discografie del padre, di Bob Dylan, di Jimmie Rodgers e di altri artisti.
Arlo Guthrie – Last Of The Brooklyn Cowboy
Questo album – registrato ai Warner Bros. Studios di North Hollywood e ai Buck Owens Studio di Bakersfield – parte con le calde note del violino di Kevin Burke che ci trasporta nella Contea di Sligo con l’irish reel “Farrell O’Gara” e già qui la nostra attenzione viene immediatamente catturata.
“Gypsy Davy” è il primo omaggio a Woody Guthrie con la chitarra di Jesse Ed Davis che inizia fare la sua apparizione in questo brano dai sapori vagamente calypso.
Tocca al soulman Johnny Tayler venire omaggiato con la sua “This Troubled Mind Of Mine”, qui in versione country con il bel violino di di Don Rich e la steel guitar di Jerry Brightman.
La seguente “Week On The Rag” è un bello strumentale col piano di Arlo Guthrie in evidenza ad anticipare la struggente “Miss The Mississippi And You” con l’arrivo di Ry Cooder alla slide a dare quel tocco che solo lui può dare a questo brano, scritto da Jimmie Rodgers nel 1932, che si contraddistingue anche per i bellissimi cori “black”.
“Lovesick Blues” è un celebre motivo scritto da Irving Mills e Cliff Friend e portato al successo da Hank Williams nel 1949, che qui mette in grande risalto le doti canore di Guthrie e che ci accompagna al velocissimo bluegrass “Uncle Jeff” che chiude la prima facciata e che vede al banjo il grande Doug Dillards e al violino Gib Guilbeau.
Se il lato A di questo vinile è già di grande livello quando giriamo il vinile arrivano le grandi sorprese.
Prima di tutte la versione di “Gates Of Eden” che possiamo osar dire capace di superare l’originale di Dylan, con le chitarre di Clarence White, la superlativa slide di Cooder e la voce di Arlo. Non serve altro se non il basso dell’immancabile John Pilla.
Ancora Cooder assoluto protagonista nella magnifica “Last Train”, brano dello stesso Guthrie e qui il chitarrista californiano ci porta in un mondo al di là del paradiso, aiutato da un celestiale coro che consacrano il brano come il più bello di tutto l’album.
Anche “Cowboy Song” esce dalla penna di Arlo Guthrie, particolarmente bella con la sua atmosfera da confine soprattutto grazie alla bella chitarra di Grady Martin e l’accordeon di Nick DeCaro.
Kevin Burke torna protagonista in “Sailor’s Bonnett” aiutato dal banjo dello stesso Guthrie e con Cooder ancora alla slide a farci capire che bastano pochissime note per dare anima e sentimento ad una canzone.
L’album si chiude con un’accoppiata d’eccezione con “Cooper’s Lament” (ancora Jesse Ed Davis e Ry Cooder alle chitarre) e quel coro gospel da pelle d’oca che ci introduce alla finalissima “Ramblin’ Round”, ancora un omaggio al padre Woody che chiude in maniera perfetta questo disco che, personalmente, reputo uno di quelli da portare con me sulla famosa isola deserta.
[Antonio Boschi]
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